Penny Wirton, tu chiamala se vuoi integrazione

Penny Wirton, tu chiamala se vuoi integrazione

Editoriali - Oggi il primo giorno della Penny Wirton Viterbo. Non è stato tagliato nessun nastro, soltanto nastrini. Nastrini per tenere i cartellini con su scritto i nomi degli insegnanti e degli studenti. Un'anomalia viterbese, a Roma li avevano solo i professori. Una personalizzazione etrusca che ai volontari è piaciuto tanto fare.

ADimensione Font+- Stampa

I cartellini gialli appesi al collo con un nastrino e sopra ci sono i nomi. Sara, Laura, Eleonora, Elisa, Barbara, Luisa, Simone, Daniel … Anna arriva con Osvaldo e Stefania è uscita prima dal lavoro per esserci. Due e trenta del pomeriggio. Si aggiungono altri cartellini gialli e altrettanti nastrini. Ibrahim, Yubai, Roxana, Mammoud … I primi sono insegnanti volontari di italiano, i secondi studenti.

Romania, Egitto ma anche Thailandia e Portogallo e Ucraina. Qualcuno è arrivato in Italia con uno di quei barconi che siamo abituati a vedere alla televisione. Hanno attraversato “il mare nostro”, che poi è anche il loro: il Mediterraneo. Sono storie incredibili, per tanti aspetti le stesse di cui lo scorso giugno ha raccontato Eraldo Affinati ospite ai Caminetti de La Casa delle Arti. Di quelle che il professore romano ha scritto sui libri editi da Mondadori e di cui scrive nei fondi sul Corriere della Sera. Qualche giorno fa abbiamo letto un suo articolo, parlava degli anticorpi romani che lui “chiama per nome”. Perché Roma non è “mafia capitale”. Se la città eterna fosse stato questo sarebbe finita già da un pezzo, perché quella è roba che mangia il futuro. I nomi di cui parla Affinati appartengono ai suoi ragazzi, volontari alla Penny Wirton.

La definizione è didascalica: scuola di italiano per gli stranieri. Nella realtà è altro. La Penny Wirton di Eraldo Affinati – che è la Penny Wirton di don Antonio Mazzi, di Salvatore Regoli, di Barbara Paris, di Sara, Laura, Eleonora, Luisa, Daniel e Yubai, Roxana, Ibrahim, Mammoud … – è un posto di frontiera. E’ una roba da folli. C’è un insegnante per ogni straniero, non c’è uno straccio di paga per chi si siede a quei tavoli un giorno a settimana per due ore. E la cosa che si fa difficoltà a credere è che se questi volontari ne parlano ad altri incassano spesso una risposta sorprendente: “è una bomba, voglio farla anche io”.

Non ti paga nessuno, devi dare il tuo tempo a qualcuno che è arrivato nella tua città attraversando il mare su un barcone o cercando un lavoro dall’est Europa o dall’oriente e ti piace? E’ proprio vero, in giro non c’è più gente normale. E questa è una grande fortuna, è l’anticorpo che può permettere alle nostre città di ripensarsi, di crescere e darsi un domani. Curarsi prendendosi cura. Per questo la Penny Wirton ha futuro, perché è un laboratorio di anticorpi.

Vai a insegnare l’italiano a uno straniero e impari che è come te, che può essere un problema come una soluzione. Proprio come te. Vai a imparare l’italiano e ti insegnano che non sei uno straniero ma uno di casa. Uno che ha la porta aperta e capisci che se questa casa è anche la tua ti conviene rispettarla, curarla, volerle bene. Anche Viterbo ha degli anticorpi, alla Penny Wirton del Pilastro li ho visti.

Foto Fisioterapy Center

Jooble La Fune