Decentralizzazione e pochi servizi: la ricetta per far morire il centro storico

Decentralizzazione e pochi servizi: la ricetta per far morire il centro storico

Homepage - Dopo il pugno duro contro i locali del centro storico, chiediamo al proprietario del Monastero cosa vuol dire essere un commerciante di San Pellegrino

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Da qualche giorno a questa parte LaFune ha portato all’attenzione uno dei problemi, secondo noi, più gravi di Viterbo: lo svuotamento del centro storico. Da anni, infatti, i quartieri simbolo della città vivono un lento e inesorabile svuotamento, a partire dalle attività commerciali. Nei giorni scorsi abbiamo segnalato il pugno duro del Comune verso alcuni locali del centro, come il caso del Due Righe, pesantemente sanzionato con 10 giorni di chiusura, o il BeerShock e il Settantasette, che si sono visti recapitare una sanzione da capogiro.

Abbiamo quindi deciso di guardare la situazione da più vicino, chiedendo a uno degli storici locali del quartiere medievale un parere sulla situazione viterbese. La domanda che ci siamo posti, infatti, è se attualmente sia ancora possibile gestire un ristorante o un bar nel centro storico della città, ma soprattutto quali sono i problemi che attanagliano gli esercenti del centro. Ci siamo quindi rivolti a Galiano Troscia, titolare del Monastero, uno dei ristoranti più conosciuti e più apprezzati nella Città dei Papi.

Galiano, quali sono i principali problemi di un’attività come la tua nel centro storico?
“Le difficoltà esistono, partendo dal punto di vista logistico. Partiamo col dire che Viterbo non è quello che si definisce esattamente come un polo turistico. Il nostro lavoro deriva quindi dal pubblico locale, ma i quartieri come San Pellegrino non sono così abitati come si può pensare. Su questa via ci saranno una ventina di case, di queste neanche la metà sono abitate. La principale fonte di lavoro sono quindi quelle persone che vengono a San Pellegrino per passare la serata, sia di Viterbo che della provincia”.

Eppure il quartiere medievale dovrebbe essere uno dei maggiori poli di attrazione della città.
“Il turismo che c’è a Viterbo è soprattutto di passaggio, le persone non si fermano in città. Qualche tempo fa ho sentito qualcuno del Comune accennare a statistiche sul numero di autobus turistici arrivati in città. Peccato che l’autobus turistico non porti nulla al commerciante. I fantomatici turisti, infatti, arrivano con la gita organizzata per visitare di corsa i luoghi simbolo della città. Arrivano di corsa e vanno al Palazzo dei Papi, poi sempre di fretta corrono a Santa Rosa e si rimettono in marcia sugli stessi autobus. È ovvio che questo turismo non genera alcuni indotto. Senza una politica di attrazione alla permanenza su Viterbo è tutto inutile”.

Qual è il problema del centro storico quindi?
“La troppa decentralizzazione: negli anni il centro di Viterbo si è svuotato di tutte quelle persone che prima lo animavano. Ora anche il Corso a volte sembra essere deserto, al contrario di tante città turistiche, dove si può passeggiare avvolti da tanta gente. In giornate non proprio soleggiate a Viterbo l’unica alternativa sono i centri commerciali. Le attrazioni della città si trovano tutte fuori dal centro storico, compreso il cinema che ora è a Vitorchiano. Anche grazie ai cinema del centro storico, una volta, i locali riuscivano a lavorare qualcosa di più al termine delle proiezioni”.

Qual è, invece, l’atteggiamento del Comune verso tutto questo? Esiste una politica per il centro storico?
“Se esiste qui ancora non si è fatta vedere. Non mi pare di ricordare che negli ultimi anni le varie amministrazioni si siano interessate al centro storico o alle attività che vi operano. Gli unici interventi che mi ricordo, dal 1988 che gestisco questo locale, sono quelli della primissima amministrazione Gabbianelli, che grazie a un giovane assessore aveva cercato di rilanciare un po’ il centro di Viterbo”.

Come si può rilanciare il centro storico?
“Basterebbe riportare qui quello che ci è stato portato via. Una volta il mercatino dell’antiquariato veniva fatto a San Pellegrino, perché era partito da un’iniziativa dei commercianti locali che una volta al mese esponevano nella piazzetta i loro negozi. Questa piccola iniziativa contribuiva a portare gente in centro, ma a quanto pare ‘disturbava’ ed è stata spostata altrove”.

Da quello che ci racconti mi sembra di rivivere il caso del Due Righe, dove sarebbero stati gli stessi abitanti del quartiere a denunciare al Comune il troppo chiasso del locale. 
“È ovvio che se si vuole rilanciare il centro storico si devono trovare delle mediazioni. Non possiamo abbandonare la città e le attività che vi operano perché qualcuno deve andare a dormire alle dieci, come non possiamo chiedere ai residenti di sopportare musica e frastuono fino alle 3 di notte. È giusto che i locali rispettino le regole imposte dal Comune, ma non ce la si può prendere con i commercianti per qualsiasi cosa. Se qualcuno esce da un bar ubriaco, non si può far ricadere la responsabilità delle sue azioni sul locale. Qui abbiamo sempre rispettato le leggi e i regolamenti, ma si deve capire che noi stiamo qui a lavorare, non è un passatempo. I locali del centro storico lavorano e pagano le tasse come tutti, non credo sia giusti punirli così severamente”.

Un’ultima domanda: secondo te un altro centro storico è possibile?
“Ovviamente sì, basta smettere di parlare di quello che si vorrebbe fare e iniziare a farlo. Io vengo da Bagnoregio e per anni lì non si è parlato d’altro di come recuperare il borgo di Civita, mentre si parlava il tempo passava e il quartiere moriva. Poi è arrivato Bigiotti che ha smesso di dire cosa si poteva fare e ha iniziato a fare qualcosa. Il sindaco non si è inventato nulla: ha solo messo in pratica quello che tutti dicevano, ma un conto è parlare e un conto e avere il coraggio di fare”.

Foto Fisioterapy Center

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