Intervista a Saviano: “Tenetevi stretta la vostra complessità”

Intervista a Saviano: “Tenetevi stretta la vostra complessità”

Homepage - Dal caso Manca a Gomorra, dalle sue dipendenze alle piazze che frequenta: Roberto Saviano arrivato a Viterbo si racconta a La Fune, durante la sua serata di Caffeina.

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Viterbo, Piazza San Lorenzo gremita: parterre sold out, scalinata del Duomo sold out, posti in piedi sold out. La Città si prepara, già dalle prime ore della serata, a riaccogliere Roberto Saviano che torna nel capoluogo viterbese a 7 anni di distanza dall’ultima sua visita. Per Caffeina (qui il programma della kermesse) presenta il suo nuovo lavoro “La paranza dei bambini”, libro che racconta le vicende delle squadre di giovanissimi che divengono milionari, ma soprattutto prigionieri, gestendo le piazze di spaccio nel napoletano. Palco semplice con oggetti di scena essenziali, una sedia, una scrivania e tutto lascia spazio ai racconti e alle parole. Incontriamo lo scrittore napoletano sotto scorta dal 2006, nella biblioteca di Palazzo Papale in una cornice che lui stesso definisce “incantevole e sempre più bella”.

 

Bentornato a Viterbo Sig. Saviano, perché per lei è importante partecipare a questi eventi come Caffeina?

“Amo questi incontri perché sono momenti di condivisione che è la cosa più difficile della mia vita. In realtà sono vere e proprie scorciatoie per me per realizzare bagni di folla e di quotidianità semplicemente perché per me dire ai miei “andiamo a Viterbo” è un disastro per tutta l’organizzazione che c’è dietro: dove, quando, casa privata, spostamenti. Dopo 5 minuti di questi discorsi è molto facile che la voglia si perda e si resti a casa. E invece gli eventi aperti, pieni di pubblico in un posto così bello ti costringono a vivere. È una specie di terapia, faticosa ma fondamentale.

 

È venuto a Viterbo per la prima volta nel 2010, quanto è diversa la sua vita da allora, se di diversità possiamo parlare conoscendo la sua condizione?

“Era un anno difficile, era un’altra epoca con un governo che mi remava contro e tutta una serie di difficoltà estreme. Non era così’ facile per me stare in piazza avevo sempre incontri chiusi pieni di scorta, un vero disastro emotivo. Adesso però grazie a quegli anni apprezzo di più il valore degli incontri come quello di stasera, è una sorta di stato d’animo della festa”.

 

Qual è la sua evasione quotidiana più frequente?

“Sicuramente la musica e i libri, ma sono sempre controllato sulle dipendenze perché la mia situazione è perfetta per le dipendenze. Devo disciplinarmi perché come cedo non torno più indietro, è la tipica dinamica dove qualunque dipendenza può diventare un serio problema perché serve a spezzare l’ossessione in cui vivi. Quando mi hai fatto questa domanda è come se mi fossi spaventato, come se avessi dovuto pensare a dove è il mio punto debole. La verità è che non evado mai. Quando non sono in Italia, ma sono all’estero è un po’ più facile ma i problemi ti seguono, ti perseguitano. Diventare simbolo significa avere un bersaglio sulla propria schiena e anche in faccia. Diciamo che devo imparare ad evadere per ora mi sento molto carcerato, devo imparare da Papillon che è uno dei miei libri preferiti”.

 

A Viterbo la mafia, o il sospetto della sua presenza, è arrivata con il caso di Attilio Manca, secondo te è possibile che ci siano strascichi di questo tipo in città così piccole?

“Assolutamente sì. Tutta la zona laziale è una zona che da sempre ha avuto una storica infiltrazione mafiosa con il problema di non avere mai davvero una coscienza del problema perché il solo pensiero di poter raccontare gli insediamenti mafiosi vuol dire distruggere l’immagine del paese, dire che i capitali mafiosi sono arrivati anche a Viterbo significa dire stiamo distruggendo e invece vuol dire che stiamo difendendo il nostro territorio. Oggi è molto più difficile parlare di questo rispetto al 2010, sembrerebbe il contrario ma non è cosi: si è tornati a non volerne parlare, il sentimento è del “c’è ma basta non ne parliamo più, abbiamo capito”. Prima c’era chi voleva capire, guardare e poi c’era chi andava contro, anche la mia venuta qui non è stata accettata. Bisogna tenere gli occhi aperti, nessuno si deve sentire escluso”.

 

Roberto Saviano quanto vuole bene a Gomorra?

“Domanda difficilissima perché ho un rapporto molto complesso con questo libro come tutte le cose che si amano. Io ho detestato Gomorra, ci sono delle mattine che non riesco nemmeno a pronunciare quel nome. Nei posti dove sono non ho mai una copia di Gomorra, non lo voglio vedere, però a volte ne sono fiero. Sono fiero in tutte le sue declinazioni perché ho partecipato a tutte: ho scritto un copione teatrale, il film, ho ideato la serie che è stata un’impresa difficilissima, ho combattuto perché questa si facesse perché nessuno voleva che si producesse qualcosa in dialetto senza il bene. La novità contenutistica di quest’opera è che non c’è il bene: non c’è il magistrato buono, il prete buono, io non volevo assolutamente mostrare il bene, ma volevo che tutti si misurassero con le figure mafiose. Non immedesimarsi subito con il buono e ogni tanto essere affascinato dal cattivo. Maledico Gomorra in tutte le sue declinazioni, ma non l’ho mai rinnegata. È sicuramente un grande amore”.

 

Le parole di Saviano volgono lo sguardo oltre il proprio orticello, oltre i perbenismi, oltre i “se non si vede non c’è”. Lo scrittore esorta il pubblico a prendersi del tempo, tempo per cambiare idea e per cambiarla un’altra volta, tempo per conoscere, tempo per sentire: la cosa più preziosa in assoluto in un momento in cui è difficilissimo avere tempo. Le storie che racconta Saviano non le puoi intuire, vedere in un fugace servizio al telegiornale, vanno lette e ascoltate per un giusto periodo di tempo che merita di essere assaporato.

“La cosa più erotica che vi potete regalare è la complessità, quel modo di essere che smonta l’ossessione estetica, smonta il misurabile. La bellezza è molto di più: desiderio, dettaglio, scoperta. Lasciamo le donne belle agli uomini privi di fantasia, diceva Proust e riscopriamo interamente quanto è importante e prezioso essere individui complessi”.

Saviano chiude così la serata inaugurale di Caffeina e lascia come eredità un grande insegnamento che lascia libero su Viterbo e sul suo pubblico.

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