Peppino Impastato, oggi moriva l’eroe anti-mafia. Il ricordo e l’eredità

Peppino Impastato, oggi moriva l’eroe anti-mafia. Il ricordo e l’eredità

Homepage - VITERBO - Quarantadue anni fa veniva assassinato in Sicilia Peppino Impastato, giornalista e attivista che con coraggio contrasto Cosa Nostra con denunce al vetriolo e ironia. Un'eredità che ancora vive oggi, tra film, fumetti e canzoni e frasi rimaste indimenticabili.

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VITERBO – “Spegnetela questa radio, voltatevi pure dall’altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Non andate al suo funerale, lasciamolo solo. E diciamolo, una volta per tutte, che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci piace. Noi siamo la mafia”. E’  il durissimo atto d’accusa che fu pronunciato il 9 maggio di 41 anni fa sulle frequenze di Radio Aut all’indomani della morte di Peppino Impastato. In Italia, l’attenzione di tutti è concentrata sul ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, ma a quella tragedia, nella piccola Cinisi, a 30 chilometri da Palermo, se ne aggiunge un’altra: l’omicidio di questo giornalista e attivista siciliano che si era opposto alla Mafia con le armi della denuncia, dell’intelligenza e dell’ironia.

Nato il 5 gennaio 1948 da una famiglia mafiosa, Giuseppe – per tutti Peppino – decide di fondare una propria emittente proprio a Cinisi: Radio Aut. E’ il 1977, periodo del boom delle radio libere. Peppino usa il microfono per denunciare e prendere in giro capimafia e politici locali: il bersaglio preferito è don Tano Badalamenti, erede del boss Cesare Manzella e amico di suo padre Luigi. Cento passi sono infatti quelli che dividono la sua casa natale da quella del capo di Cosa Nostra. Nella sua trasmissione, Onda Pazza, Impastato punta il dito su ‘Mafiopoli’, ‘un paese tranquillo ove c’erano tanti amici, amici di qua, amici di là…” e i due ‘grandi capi’ che ne reggono le fila, Tano Seduto (Badalamenti, appunto) e il sindaco Geronimo Stefanini. Con un’effiicace verve satirica, Impastato denuncia speculazioni e loschi traffici sulla pelle dei cittadini. Un attivismo che lo porta ben presto a rompere ogni rapporto col padre. Una voce scomoda che bisognava far tacere a tutti i costi, in una Sicilia in cui il dominio della criminalità organizzata era assoluto.

Impastato si candida alle elezioni amministrative per Cinisi, vuole cambiare le cose in concreto. Ma Cosa Nostra colpisce pochi giorni prima, nella notte tra 8 e 9 maggio 1978. Il suo cadavere viene trovato lungo i binari della ferrovia. Accanto c’è del tritolo: un tentativo maldestro di far passare la sua morte per un fallito attentato terroristico. L’Italia – soprattutto in quegli anni, ma non solo – è da sempre terra di depistaggi, e anche in questo caso si cerca di nascondere la verità. Grazie all’impegno del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta, vent’anni dopo si è arrivati alla sentenza di condanna dei mandanti, i boss Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti. La società siciliana resta scossa dall’omicidio: al funerale di Impastato si ritroveranno spontaneamente tanti giovani provenienti da tutta l’isola. 

Anche oggi, a Cinisi e in molte parti d’Italia, seppur nel rispetto delle norme anti- Covid,  Impastato sarà ricordato con alcune iniziative. A me piace ricordarlo con una frase che, a mio avviso esprime un messaggio fortissimo e valido ancora oggi: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’ arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”.

Ciao Peppino. E grazie. 

 

 

  

 

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