Teatro Unione, Antoniozzi: “Sarà dura ricostruire un pubblico”

Teatro Unione, Antoniozzi: “Sarà dura ricostruire un pubblico”

Attualità - In una città orfana di un teatro da oltre un decennio, decennio cui precede almeno un lustro e passa di stagioni rovinose a base di ospitate di questo o quel personaggio televisivo che ha deciso che Shakespeare era la sua vocazione primaria, il pubblico non esiste più.

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Completamento del Teatro Unione, è iniziata la corsa contro il tempo. A primavera dovrà riaprire, pena la perdita dei finanziamenti regionali. Ma aprire cosa significa? E’ importante aprire una riflessione su questo tema e La Fune ha cercato di lanciare il discorso già da qualche mese.

Mentre procedono i lavori alla struttura diventa quanto mai importante costruire un percorso parallelo, anche questo di alta ingegneria e architettura, capace di mostrare un progetto di gestione vero. In queste ore è intervenuto sulla questione Alfonso Antoniozzi. Abbiamo deciso di riproporre in maniera integrale la riflessione che lo stesso ha pubblicato sui suoi profili social.

“Il problema più grande – scrive Antoniozzi – che si troverà sul tavolo chiunque prenda in mano il teatro della mia città (sempre che riapra, sempre che riapra con un progetto, sempre che riapra con un progetto finanziato, sempre che riapra con un progetto finanziato volto a farne un teatro funzionante e vivo e non un contenitore di ospitate e firmacopie, nel qual caso il problema non si pone) sarà ricostruire un pubblico.

In una città orfana di un teatro da oltre un decennio, decennio cui precede almeno un lustro e passa di stagioni rovinose a base di ospitate di questo o quel personaggio televisivo che ha deciso che Shakespeare era la sua vocazione primaria, il pubblico non esiste più. Non c’è più la sana curiosa abitudine di uscire di casa la sera e andare a teatro.

Oh, intendiamoci, ci si va eh? Voglio dire, se il parente mette su “Due Dozzine di Rose Scarlatte” con una compagnia locale, la sala la riempie. Idem se il musicista locale si inventa la serata di musica classica leggera o pop, il teatro lo riempie: amici parenti e benefattori si muovono e vanno a teatro, eccome! “Abbiamo fatto il tutto esaurito!!”, eh, grazie al cazzo.

Col singolare corollario, però, che se la serata non la fa l’amico tuo, tu non ce vai. E con l’altro singolare corollario, che è un male endemico, che se un altra compagnia locale o un altro musicista organizza qualcosa, tu musicista locale attore locale compagnia locale coro locale per partito preso proprio non ce vai, perché la mentalità si può riassumere con “semo comunque mejo noi, diocaro” o, peggio, “boicottamo in massa perché non è dei nostri” (nell’ultimo caso non dico la morte, ma almeno un’orticaria di quelle incurabili io la auguro di cuore, proprio).

Nella mia città, fatti salvi gli esempi di cui sopra e a meno che sul palcoscenico non compaia il personaggio televisivo a di’ due cazzate, leggere l’ennesimo Leopardi (male) o firmare la copia del libro, la gente è disabituata ad andare a teatro. Saranno amarissimi cazzi di chiunque si trovi a dover organizzare una vita teatrale, sempre che lo si voglia fare, sempre che sia questo il progetto, sempre che esista un progetto”.

Foto Fisioterapy Center

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