Viterbo Spoon River, ecco la città che muore …  La situazione su Corso Italia

Viterbo Spoon River, ecco la città che muore … La situazione su Corso Italia

Spoon River - Il grande morto dell'economia del capoluogo della Tuscia è il commercio. Osservato speciale la città dentro le mura. La situazione è preoccupante. Iniziamo il viaggio da Corso Italia. C'è di che avere paura.

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“Dove sono il Gran Caffé Schenardi, la Farmacia, Gibiesse, il Red Love Cafè e il Temporary Store? Il salotto buono dei viterbesi, il legno su cui poggiavano le medicine, i vestiti, il cappuccino con la schiuma e il consiglio sempre pronto su quale telefono comprare? Tutti, ora dormono dentro le mura”.

Non stiamo scrivendo un libro ma stiamo per concentrare l’attenzione sul “grande morto” del centro storico di Viterbo: il commercio. Simbolicamente abbiamo voluto aprire questo pezzo, a cui ne seguiranno molti altri, tirando in ballo e parafrasando le prime righe di un libro immenso: Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master. Un lavoro di narrativa che parla di morti, che racconta i morti. Morti come molti negozi del centro storico viterbese, caduti come mosche a ogni giro di mesata. Caduti perché gli incassi non sono buoni neanche per fare fronte all’affitto del locale, perché la gente compra sempre meno, sempre meno viene in centro, sempre più alte sono le tasse, gli obblighi burocratici di legge e il “me ne frego” di chi dovrebbe fare, e avrebbe dovuto fare, programmazione e rilancio del territorio.

Morti rimasti lì, con le saracinesche chiuse e le megascritte “AFFITTASI“. Con la polvere che copre le vetrine, un tempo trasparenti. Con gli ex proprietari in alcuni casi disperati a correre dietro ai debiti, con le commesse o i commessi parcheggiati nella disoccupazione per un pugno di mesi. Poi la disperazione del vuoto. Vi mostriamo le foto del Corso, di Corso Italia. Arteria principale per decenni del grande sangue del commercio viterbese. Ridotta a macerie, come una sorta di paese spopolato dove sono rimasti solo i vecchi e le porte chiuse dei già trapassati. Nei prossimi giorni vi porteremo in giro per la città a contare quante saracinesche sono state tirate giù. E’ da un po’ che ci stavamo pensando e abbiamo in mente un’idea molto forte per aprire e lasciare aperto il problema, nella speranza che alla fine si riesca a chiudere questa profondità che sta inghiottendo molto. Storie, famiglie e linfa vitale in genere.

Le foto che vedete ce le ha “girate” Chiara Grimaldi. Sul suo profilo Facebook ha aperto un album molto “ficcante“. L’ha chiamato ‘Viterbo che muore’. Da qualche tempo ha deciso di diventare la fotografa dei “morti”, dei negozi “morti”. Un grido, così abbiamo interpretato questo lavoro, il suo che merita di essere approfondito, sviscerato, portato all’estremo nella speranza di fare fretta a tutti quegli attori che dovrebbero e potrebbero invertire l’ordine delle cose, l’andazzo.

 

 

 

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