Fiocco Rosa-“Stammi vicino e tienimi lontano”, il punto di vista di un’esperta sull’emergenza CoronaVirus

Fiocco Rosa-“Stammi vicino e tienimi lontano”, il punto di vista di un’esperta sull’emergenza CoronaVirus

Fiocco Rosa - La situazione CoronaVirus è molto seria, tutti dobbiamo fare la nostra parte. Per questo abbiamo chiesto il punto di vista della Dott.ssa Mencaroni Francesca, psicologa e psicoterapeuta

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In un momento di completa emergenza, abbiamo chiesto alla psicologa psicoterapeuta Francesca Mencaroni il suo punto di vista sulla situazione Coronavirus. 

Ascoltando le dirette, i video e le varie condivisioni sul web a proposito del Coronavirus, vedo che molti di noi sono, giustamente, nella posizione di rimanere a casa per proteggersi e proteggere gli altri dal contagio (anche se poi, più che una posizione personale, è una direttiva ministeriale alla quale dobbiamo attenerci tutti).
Siamo incoraggiati a muoverci il meno possibile se non per fare la spesa o, per alcuni, andare al lavoro. Incoraggiamo gli altri a fare la stessa cosa e, come accade per ogni fenomeno del momento, sia serio che frivolo, le modalità che adottiamo passano dall’invito accogliente alla critica offensiva e giudicante dell’altro se non si comporta come dovrebbe o secondo il proprio punto di vista.
Superata la disputa quarantena sì-quarantena no, oramai chiara per tutti, ci stiamo concentrando su questa nuova condizione: la reclusione.

Come impiegheremo il nostro tempo in casa?

Ci stiamo attrezzando non solo al livello lavorativo, ma anche nell’organizzare dei passatempi e delle attività ricreative che possano riempire i vuoti sociali visto che ci è richiesto di avere il meno possibile contatti con gli altri. Siamo preoccupati, dispiaciuti di non poter più andare a cena fuori o al parco con gli amici, in discoteca, in palestra, in piscina, al bar o di poter fare una cena a casa in compagnia. Anche bambini e adolescenti, benché in un primo momento abbiano esultato sulla chiusura delle Scuole, ora, il pensiero di non avere più quell’appuntamento mattutino anche solo per vedere l’amico o la ragazza che piace, un po’ li deprime.

Questo accade per una gran parte di persone che vive o ha vissuto finora una vita sociale sufficientemente ricca. Vale per chi ha amici con cui condividere le proprie esperienze nel tempo libero e per chi è abituato a sentirsi giornalmente per organizzarsi, raccontare e condividere. Osservo il dispiacere, il disorientamento e al contempo la voglia di trovare un modo per stare insieme virtualmente attraverso i modi più industriosi e originali come le dirette su Instagram dove incontrarsi e condividere una ricetta di cucina o una lezione di yoga. Quello che conta sembra essere proprio la condivisione, la relazione, come se ci rendessimo conto di colpo di quanto siano importanti.

La mia osservazione è in evitabilmente condizionata dalla professione che svolgo e si è concentrata in particolar modo su chi nella condizione di reclusione già ci si trova da tempo, ma non parlo di una reclusione forzata. Penso a tutte quelle persone che non hanno avuto modo di costruirsi una vita sociale appagante, di chi soffre del disturbo d’ansia chiamato ansia sociale per il quale i contatti con gli altri sono percepiti come pericolosi e fonte di grande disagio emotivo. Penso anche alle persone che convivono con un partner che passa serate e notti intere davanti ad un computer a giocare e non vorrebbero altro che uscisse ad impiegare il suo tempo per costruire rapporti reali o semplicemente averlo in casa presente con loro, non davanti ad uno schermo vuoto.

Penso a quella solitudine che porta molte persone alla dipendenza patologica, ad attaccarsi a qualcosa che li anestetizzi da quel vuoto sociale ed emotivo. Quanto sarà ancora più difficile ora, per chi vive con persone che hanno questo tipo di problematiche, non avere nemmeno la scuola o il lavoro come scusa o occasione che li porti un po’ fuori casa… e penso a chi invece da casa non vorrebbe mai uscire perché si sente inadeguato, giudicato, dove l’altro è vissuto sempre come nemico e il contatto con lui come un esame che non verrà mai superato.

Immaginate queste persone che leggono sui social il disorientamento di chi non è abituato a stare chiuso in casa, che leggono la rabbia verso chi fa fatica a non uscire e vedersi con gli amici quando abbiamo un’emergenza in corso, e l’ingegno di quelli che si attivano per impiegare il proprio tempo in qualcosa di utile e divertente al fine di riempire questo vuoto. Immaginate chi in quel vuoto ci sta da sempre, chi torna a casa e oltre ad essere solo si sente solo al mondo, una frase che ho sentito dire mille volte da tante persone che ho avuto in cura.
Forse non è poi così difficile questa nuova condizione di stare a casa o di stare soli se poi in realtà sappiamo di non esserlo realmente, se siamo consapevoli di avere una rete intorno a noi pronta ad accoglierci via telefono e web o che comunque ci sarà dal vivo quando tutto questo sarà passato.
Non è poi così insopportabile comunicare per qualche tempo tramite la tecnologia, in fondo ci troviamo in un periodo storico dove siamo già abituati a farlo… ma un conto è poter scegliere di comunicare in questo modo, un conto è doverlo fare per imposizione senza avere l’alternativa. Pensiamo a chi quell’alternativa non ce l’aveva nemmeno prima.

Questa considerazione potrebbe sembrare un messaggio per farci riflettere sulla nostra percezione di negativo e insopportabile e comprendere che siamo perfettamente in grado di attraversare questo momento meglio di quanto immaginiamo. Pur essendo convinta di quanto appena detto, vorrei riflettere in realtà non tanto sulla difficoltà quanto sull’importanza che i rapporti sociali hanno per tutti gli esseri umani. Ce ne stiamo rendendo conto ora e ce ne renderemo conto ogni giorno di più man mano che passeremo il nostro tempo lontano da tutti, quando quelle poche persone che incontreremo, se siamo costretti ad uscire per necessità, ci saluteranno da lontano perché dobbiamo mantenere la distanza di sicurezza.

Sarebbe utile a tutti rendersene conto anche quando usciremo finalmente dalle nostre case senza più l’angoscia del contagio, quando ricominceremo ad abbracciare i nostri amici e parenti, a baciare gli altri per un saluto o per un regalo ricevuto (io non ho potuto farlo due giorni fa che ho compiuto gli anni ed è stata una sensazione molto spiacevole). Sarebbe bello abbracciarli tanto e forte, farlo con tutti, nessuno escluso. Fa piacere anche a chi non si sente di farlo per primo, a chi teme un rifiuto, a chi ci sembra scostante e invece è solo timido. Perché la sapete una cosa? Quando una persona vi sembra antipatica, snob, indifferente a voi, molto spesso nasconde una disabilità sociale. Forse si sente rifiutata e Dio solo sa la storia che ha avuto per apprendere quel comportamento che la spinge a rifiutare lei stessa gli altri per prima per la paura di non essere accettata e di subire delusioni. Non sappiamo mai chi abbiamo di fronte all’inizio di un incontro, e forse non lo sappiamo nemmeno dopo anni di conoscenza.

La cosa certa, invece, è che gli esseri umani sono fatti per stare insieme, siamo esseri altamente sociali e abbiamo bisogno degli altri per vivere in equilibrio. Che siano molti o pochi, tutti noi abbiamo bisogno di stare in contatto profondo con qualcuno per il nostro benessere emotivo. Abbiamo bisogno sempre di questa base sicura, anche a distanza. Che dobbiamo imparare a stare bene da soli è un mito che ci stiamo raccontando da tempo, frutto di questa società individualista focalizzata sulla realizzazione personale a tutti i costi, un mito che poi crolla improvvisamente di fronte ad una situazione di emergenza come quella attuale che richiede grande senso di comunità. In fondo l’uomo può davvero riuscire a stare solo in serenità quando ha la consapevolezza di avere una rete importante e solida intorno, in caso contrario si sentirebbe perso e depresso. L’altro è fondamentale per la nostra salute psicologica e per l’idea che abbiamo di noi stessi, infatti essere accettati ci gratifica e ci fa sentire che siamo validi e importanti. Al contrario, il rifiuto e l’indifferenza ci fanno sentire inadeguati e sbagliati, come se qualcosa in noi non andasse bene e in definitiva di non essere come gli altri.

Questa condizione di reclusione ci può far riflettere su cosa ci rende davvero felici, ovvero la condivisione, la presenza, le relazioni. Ricordo la frase del film In to The Wild che diceva: “La felicità non ha senso se non è condivisa”. Pensiamoci bene e ricondiamocelo anche quando usciremo dalle nostre case. Ricordiamoci di quanto sia fondamentale sentire un senso di appartenenza e sostenerci, non solo per combattere le situazioni di emergenza come quella del Coronavirus ma anche per quelle piccole battaglie che ognuno di noi potrà trovarsi ad affrontare e per le quali gli altri saranno una risorsa e faranno la differenza. Arriveranno giorni in cui noi avremo bisogno degli altri e giorni in cui invece saremo chiamati ad essere noi quegli altri presenti, inclusivi e accoglienti.

Questa sfida inizia da ora per cui cominciamola il più possibile stando vicini pur tenendoci lontani.

 

Foto Fisioterapy Center

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