Fiocco Rosa- Renée Abou Jaoudé, una vita al profumo di crema pasticcera

Fiocco Rosa- Renée Abou Jaoudé, una vita al profumo di crema pasticcera

Fiocco Rosa - Fiocco Rosa di questa settimana bussa alla porta della cucina di Renée Abou Jaoudé, pasticcera, ricercatrice universitaria, docente del Gambero Rosso e un sacco di altre cose. Conosciamola insieme.

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I dolci si sa, fanno bene all’anima, un po’ meno alla linea ma in fondo chi se ne importa. Questa settimana Fiocco Rosa si mette il grembiule da pasticcere e va a conoscere una professionista che insegna questa fine arte a tanti giovani e a tutti coloro che sono appassionati di creme, paste frolle e zucchero a velo.

 Renée Abou Jaoudé, pasticcera, docente, ricercatrice, amante della cucina. Ho messo in ordine queste caratteristiche che ti descrivono?

“L’ordine cambia in continuazione, a seconda del contesto in cui mi si trovo, come è giusto che sia. Attualmente direi che mi sento più insegnante che pasticcera o ricercatrice, anche se passo ogni giorno qualche ora in cucina e diverse ore sui libri”

 Sei una libera professionista, cosa ti ha portato a optare per questa scelta lavorativa?

“Diventare un libero professionista è stata la mia via per la libertà. Dopo aver passato in media 14 ore al giorno in laboratorio per quasi cinque anni, avevo bisogno di ritrovare i miei spazi ed i miei tempi. Poi calza bene con il mio modo di essere: amo confrontarmi con persone nuove, vedere posti diversi, passare parte della giornata all’aperto, avere tempo per studiare, non avere orari e paletti. Mi sento molto fortunata per questo”

 Quando hai capito che avevi scelto la strada giusta?

“Io non sono certa che sia “la strada giusta”. È sicuramente una strada intrigante e coinvolgente. Ma per me lo era anche il mio lavoro di ricerca all’università, la mia esperienza in pasticceria, o la mia carriera universitaria. Quando mi sono iscritta al corso di laurea in Scienze forestali e ambientali, dopo qualche mese, chi era scettico riguardo la mia scelta mi ha detto: “Hai fatto la scelta giusta”. Ed è successo lo stesso quando decisi di fare il dottorato, poi aprire la pasticceria, poi chiuderla per insegnare. Esiste la scelta giusta? Forse esiste la possibilità di scegliere come vivere ciò che ci accade nella vita, ed io ho scelto di farlo al massimo delle mie capacità”

Ti dico tre parole, raccontami che emozioni ti suscitano. Burro, farina, scorza di limone. Sembra facile, ma forse tu puoi essere molto più creativa di noi.

“Un roux al limone ? So dove vuoi arrivare, ma con questi tre ingredienti, oltre alla pasta frolla, puoi creare masse montate, creme, cake, cialde e molto altro. Ogni volta che penso a tutte queste opzioni, l’emozione che ciò mi suscita è lo stupore: ma quante cose si possono fare con quattro o cinque ingredienti base? Poi, ovviamente c’è la speranza (che qualcuno mi porti uno di questi dolci, ora)”

Parliamo della tua attività di pasticceria. Tempo fa gestivi “Le Cose Buone” che erano buone davvero. Che esperienza è stata?

“Esplosiva. È stato come creare la vita dal brodo primordiale. Una di quelle esperienze che decidi di intraprendere solo perché non sei realmente cosciente di quello a cui vai incontro. E così eravamo. Incoscienti. Ricordo che abbiamo passato venti giorni a preparare dolci per l’inaugurazione. Quel giorno eravamo così felici che abbiamo offerto tutto quello che avevamo prodotto. A mezzanotte io e mamma, con cui avevo cominciato questa esperienza, ci siamo guardate e ci siamo dette: “Come faremo per l’apertura di domani?”. Non lo sapevamo, eppure non ci è venuto in mente di rimandare l’apertura. Ormai avevamo dato la nostra parola. Ed è stato così per cinque anni: avevamo fatto delle promesse; dovevamo portare la nave in porto”

Posso chiederti cosa non ha funzionato?

“La scorsa settimana passeggiavo su via San Pellegrino con mamma e le ho detto: “Vedi questo locale? Quanto mi sarebbe piaciuto aprire Le Cose Buone qui”. Lei mi ha guardata e mi ha detto: “Certo che a te piacciono proprio le sfide. Anzi, ti piace proprio soffrire!”.
Io credo che ci siano state tante cose che non hanno funzionato perché ero inesperta, e che ho tentato di aggiustare come potevo, senza mai sfruttare il lavoro altrui, senza chiedere aiuto a nessuno, rimanendo fedele alle mie idee originali: creare una pasticceria naturale, utilizzare materie prime legate al territorio, valorizzare il centro storico della mia città, regalare un briciolo di felicità a chi avesse deciso di varcare la soglia del locale. Tutto questo ha avuto un costo? Certamente. Ma ne è valsa comunque la pena”

 Raccontaci che mondo è quello dello della cucina del Gambero Rosso

“Affascinante. È un luogo di storia e cultura della cucina, con tanti cassetti pieni di cose diverse. E non mi riferisco solo alle attrezzature. Ci sono le scuole di cucina, in cui insegno. Poi la redazione dove vengono create le guide che tutti conosciamo e di cui sono recensore, dallo scorso anno. Poi c’è il canale tv. Un mix dove il cibo viene analizzato a 360 gradi. Unico”

Sei docente di corsi di pasticceria. Uno più buono dell’altro mi viene da dire. Chi sono i tuoi allievi?

“In genere sono appassionati di cucina. Anche nei corsi professionali, a meno che non si abbia già fatto un percorso in questo ambito, i corsisti sono persone comuni, che non hanno nessun tipo di base tecnica. Per me, loro, sono i migliori. Sono delle pagine bianche su cui cominci a scrivere una storia. E che piano piano diventerà la loro storia. Non puoi passare la matita a tutti allo stesso modo. È un profondo percorso di presa di coscienza di cosa si sta facendo, che non è più: mischio tre ingredienti a caso, faccio le pesate a occhio e sostituisco il cioccolato fondente al cacao. È capire che ogni ingrediente ed il suo dosaggio fanno parte di un insieme bilanciato, che andrà a sfruttare le proprietà chimiche di ogni elemento, seguendo le leggi della fisica. Qualcuno rimane scioccato da questo cambiamento di visione. Altri, come è capitato a me, sono colti da un’epifania. E noi insegnanti dobbiamo tentare di portare al traguardo tutti”

Il tuo dolce preferito?

“Non c’è un dolce in particolare. Mi piacciono molto i contrasti ed i sapori forti, ma apprezzo anche la delicatezza di una crema alla vaniglia o la fragranza di un bigné dalla crosta sottile. Mi piacciono i dolci che hanno un loro equilibrio, ma che camminano lungo il margine di un precipizio”

 Questa rubrica si chiama Fiocco Rosa, puoi lasciarci tre parole simbolo che ti vengono in mente se si parla di donna?

“Non ho mai ben capito la differenza tra uomo e donna. Per me non c’è un genere migliore dell’altro (è ovvio che siamo migliori noi, ma ho imparato ad essere diplomatica…). Però posso elencare tre qualità che mi hanno aiutata ad affrontare la vita: la curiosità, di scoprire concetti, culture, luoghi al di fuori della mia confort zone; l’intraprendenza, cioè il buttarsi in qualcosa, se si pensa che possa valerne la pena. Ed è un concetto un po’ diverso dal coraggio; io non sono coraggiosa. Ho sempre paura di sbagliare e di non essere all’altezza, però ci provo. L’adattamento (che va a braccetto con l’essere poliedrici). Siamo in un’epoca che va veloce. Tutto si modifica in tempi brevi: dal clima, alle relazioni interpersonali, alle professioni. A me è servito non fossilizzarmi su una determinata esperienza. Guardo sempre le porte chiuse come traguardi che, se non avessi raggiunto, non mi avrebbero portato a quello che sono ora, o che sarò domani. E chissà cosa saremo domani? Io non vedo l’ora di scoprirlo…”

 

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