Fiocco Rosa- A lezione di inglese con Irene Selbmann

Fiocco Rosa- A lezione di inglese con Irene Selbmann

Fiocco Rosa - Fiocco Rosa questa settimana sale in cattedra e incontra Irene Selbmann, giovane docente di inglese a Roma ma con il cuore sempre a Viterbo

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Questa settimana mettiamo lo zaino in spalla e torniamo tra i banchi di scuola. Ore sui libri, primi amori, primi struggimenti sul futuro ma sicuramente un periodo che tutti ci ricordiamo. Una “Notte prima degli esami” direbbe qualcuno. Ci accoglie in cattedra (noi la immaginiamo di più seduta agli ultimi banchi con gli occhiali da sole) Irene Selbmann, insegnante di inglese in una scuola romana ma viterbese nel cuore.

Irene Selbmann, viterbese, docente di inglese, giovane donna che ha scelto la capitale per vivere. Arricchisci un po’ questo ritratto minimal che ho fatto di te…

“Intanto grazie per il ‘giovane’. E comunque è sleale partire da una domanda difficilissima, primo perché secondo me descriversi è sempre un’illusione, secondo perché le parole che userei non sono adatte al tuo elegante pubblico virtuale. Perciò ho fatto una cosa. Questa mattina sono entrata in classe e ho chiesto ai miei pupils:
Teacher:“ragazzi mi serve un aiuto per una cosa che non posso dirvi perché mi vergogno. Voi come mi descrivereste? Non temete eh, anche cose molto negative ma evitate gli insulti, non perché non li meriti ma perché non posso usarli”.
Ti riporto di seguito le loro risposte.
Pupils in ordine sparso: “Severa ma giusta. Schietta! Diretta! Chiara! Quadrata!”
Teacher: “In che senso quadrata?”
Pupils in ordine sparso: “Nel senso che ha le idee chiare. Comprensiva! Comprensibile! Simpatica! Ascolta buona musica! E secondo me lei è pure empatica, prof.”
Teacher: “Ecco, empatica non me lo aveva mai detto nessuno, ma lo scrivo che fa figura.”
Ecco io avrei usato parole quasi completamente diverse e per certi versi anche opposte. Quindi ho fatto bene a chiedere a loro.”

Professoressa Selbmann, Lei insegna inglese. Come sei arrivata a scegliere questo mestiere?

“Ma sai che non lo so bene, forse era destino che facessi lo stesso lavoro di mia mamma. Ma giuro che non volevo! Proprio per niente. In realtà ho insegnato inglese a fasi alterne dal 2007, ho iniziato con piccoli contratti ma poi ho mollato e ho cambiato diversi lavori. Sono passati gli anni e, in tutta sincerità, non pensavo proprio di fare l’insegnante. E infatti quando uscì il concorso a cattedra nel 2012 non volevo neanche partecipare. Poi un amico mi disse “scusa ma se non lo fai te chi lo deve fare?” Perciò alla fine ho partecipato. È successo che mi sono messa a studiare tutti i giorni tornata da lavoro e fino a tardi, e studiando ho iniziato a sentire una cosa che non mi aspettavo, una nostalgia canaglia per le cose che mi avevano appassionato all’università. Era bellissimo tornarci sopra e, udite udite, mi rendeva felice. E quindi andavo avanti, superavo le prove e mi dicevo che tanto pure se fossi passata mica davvero avrei accettato! E mi sono trovata a non vedere l’ora che mi convocassero per firmare il ruolo.”

Molto spesso la visione degli adolescenti oggi è abbastanza sconfortante. Come sono i tuoi ragazzi? E’ proprio tutto vero quando si parla di “generazione solo cellulare e poco cervello?”

“Mi aspettavo questa domanda ma conosci la risposta prima che te la dia io. Ovviamente no. Non è vero. E se fai l’insegnante devi crederci con tutte le forze che non sia vero, altrimenti chiudi tutto e vai a casa. In fondo dicevano la stessa cosa di noi, che avevamo la testa lavata da televisione, videogiochi e poi dai reality show. Siamo cresciuti pure noi descritti come quelli che avevano tutto. Però sicuramente non ci portavamo a scuola questo ‘tutto’. Loro invece ce l’hanno sempre lì a portata di mano. Ed è per questo che durante le mie lezioni i ragazzi sono abituati a mettere il telefono distante da loro, per non avere neanche la tentazione di guardarlo. A scuola devono essere liberi. Inizialmente non credevo che invitarli a lasciarlo da una parte potesse avere un effetto positivo, anzi spesso protestavano. Ma presto hanno iniziato a farlo senza alcun problema e probabilmente hanno anche capito che possono sopravvivere, almeno per un’ora! Senza quella distrazione sono concentrati, lavorano insieme, producono di più e con più velocità. E diciamola tutta, vale lo stesso per noi adulti.”

Quali sono, secondo te, le cose che mancano di più a questi ragazzi?

“Non è semplice fare generalizzazioni perché ognuno è diverso. Capisco che sia banale ma per quello che ho potuto osservare, nella maggior parte dei casi, manca qualcuno che dia loro fiducia. E qui si fa grande confusione. Che significa dare fiducia? Lasciare che facciano quello che vogliono non significa dare fiducia, significa piuttosto smarcarsi dalla responsabilità di guidarli. Dir loro che tutto quello che fanno va bene a prescindere dal risultato, significa in realtà gettare la spugna e, nella peggiore delle ipotesi, prenderli in giro. Quando do ai miei ragazzi un ‘brutto voto’ in realtà sto dicendo che possono fare meglio, e quindi che devono fare meglio. E io ho fiducia nel fatto che possano fare meglio. Perciò dare fiducia significa far loro sentire che hanno tutta la capacità di imparare dai propri errori, che sanno stare alle regole perché sono grandi e sanno comportarsi, che hanno delle responsabilità verso loro stessi e verso gli altri, che sanno la risposta senza necessariamente copiarla.”

Vivi da qualche anno a Roma. C’è qualcosa che ti manca di Viterbo?

“Direi di sì, anche se ormai a Roma mi considero a casa a tutti gli effetti. Però la mia famiglia mi manca molto. Mi manca non essere presente quanto e come vorrei. E poi mi manca il fatto che in 5 minuti sto sui Monti Cimini mentre qua in 5 minuti al massimo arrivo a dove ho parcheggiato la macchina. E in un giorno fortunato. Cerco di recuperare tutto nei fine settimana ma il tempo è sempre troppo poco.”

La cosa più “strana” che ti hanno detto i tuoi studenti e anche quella che ti ha fatto riflettere di più.

“Ogni docente che si rispetti ha un bestiario personale di stranezze. È giusto riderci e sdrammatizzare, ed è anche uno dei benefit di questo mestiere. Potrei farti una lista infinita, come quella volta che un alunno mi disse di non poter venire ad un compito perché quella mattina aveva già programmato di prendere parte a scontri tra tifoserie. Naturalmente poi è venuto, anche perché gli chiesi se possibile di spostarli nel pomeriggio. Ma è anche vero che ogni alunno che si rispetti ha un bestiario dedicato a noi insegnanti, che di stranezze ne diciamo e facciamo più di loro. Però, oltre ad essere spesso divertenti, i ragazzi sanno stupirti. Non tanto in quello che dicono quanto in quello che fanno e nel modo in cui reagiscono alle cose che proponi. Il punto è proprio lì, come insegnante tu devi sempre proporgli più di quanto ti aspetti che possano accettare. È a quel punto che ti stupiscono. Su ciò che mi ha fatto riflettere glisserei elegantemente, sono cose troppo personali. Per i miei ragazzi, intendo.”

Questa rubrica si chiama Fiocco Rosa. Dona a tutte le donne che leggono, tre aggettivi che, per te, una donna deve assolutamente avere.

“Tutti gli aggettivi che mi vengono in mente vengono superati dalla domanda: “e chi l’ha detto che una donna deve essere per forza così?” Immagino che non sia una gran risposta, vero?”

Foto Fisioterapy Center

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