Volt, il futurista reazionario amico di Marinetti e amato dal duce che nacque a Viterbo

Volt, il futurista reazionario amico di Marinetti e amato dal duce che nacque a Viterbo

Homepage - WEEKEND/STORIE - Spesso citato negli studi accademici, il percorso di Vincenzo Fani Ciotti è rimasto a lungo sconosciuto. La sua, però, si rivela una biografia rappresentativa di molta parte della generazione di intellettuali cresciuti nella magmatica società italiana a cavallo tra ‘800 e ‘900.

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WEEKEND/STORIE – Non sono in molti a sapere che Viterbo diede i natali al “futurista reazionario” Volt. La breve e inquieta parabola di Vincenzo Fani Ciotti sembra racchiusa tra due ossimori. Il primo è il motto festina lente (“affrettati lentamente”) che campeggia sull’architrave di una finestra di Palazzo Fani, lungo l’attuale via Garibaldi a Viterbo. Il conte vi nacque nel 1888, figlio del fratello minore di Mario, fondatore dell’Azione Cattolica.

Il secondo ossimoro è futurismo reazionario: la definizione data da Vincenzo alla revisione del futurismo per adeguarlo al “ritorno all’ordine” nell’arte e ai postulati del fascismo in politica.
Educato dai gesuiti a Mondragone, il diciannovenne Vincenzo si era trasferito dai parenti materni, i conti Martuzzi, a Vignola e aveva collaborato con la Lega democratica di don Romolo Murri, poi scomunicato da Pio X.

La vicinanza a quel mondo, però, era durata poco. Nel 1910, infatti, aderiva all’Associazione Nazionalista Italiana, schierandosi con la corrente imperialista di Enrico Corradini. All’ingresso dell’Italia nella grande guerra, Vincenzo non era partito per il fronte a causa della tubercolosi, diagnosticata due anni prima e, laureatosi in giurisprudenza a Roma, era divenuto funzionario del consolato italiano a Nizza.

Nel 1916 l’incontro che avrebbe cambiato la sua esistenza. Sulla spiaggia di Viareggio aveva conosciuto Filippo Tommaso Marinetti in attesa di ritornare sul campo di battaglia. Conquistato dal futurismo, Vincenzo aveva subito dato alle stampe un libretto di parole in libertà e sintesi teatrali, ancora elogiato dagli studiosi dell’avanguardia: Archi voltaici, da cui avrebbe mutuato lo pseudonimo Volt.

Negli anni successivi si era impegnato nella stesura di manifesti che miravano a ricostruire in chiave futurista l’architettura, la moda e la società intera, prefigurando l’avvento dell’“amore libero” e la collettivizzazione della proprietà. Da una rielaborazione narrativa delle teorie sociologiche del conflitto erano scaturiti, invece, racconti fantascientifici (come La fine del mondo) nei quali si immaginavano imprese coloniali interplanetarie.

Sostenitore dell’alleanza tra futurismo e fascismo, Volt si era rapidamente spostato verso destra, diventando agli occhi di Mussolini uno dei campioni della “cultura della rivoluzione”. Dopo la marcia su Roma, negli articoli sulla stampa nazionale aveva sostenuto che i fascisti avrebbero dovuto costruire l’aristocrazia senatoria raccolta attorno al trono e dotare l’Italia di un impero. A questo impianto avrebbe
cercato di adeguare lo stesso futurismo, ormai messo in ombra da altre correnti. Ecco allora l’ultima teorizzazione, prima che nel 1927 la tubercolosi lo vincesse in un sanatorio a Bressanone: il futurismo reazionario, che avrebbe unito le architetture medievali al “dinamismo della decorazione futurista”, la “dinamo e l’abside dei duomi romanici”.

Spesso citato negli studi accademici, il percorso di Vincenzo Fani Ciotti è rimasto a lungo sconosciuto. La sua, però, si rivela una biografia rappresentativa di molta parte della generazione di intellettuali cresciuti nella magmatica società italiana a cavallo tra ‘800 e ‘900.

In ‘La dinamo e il fascio. Volt, l’ideologo del futurismo reazionario’ (Sette Città, Viterbo 2022), Alessandro Della Casa, dottore di ricerca in Scienze storiche e cultore della materia all’Università della Tuscia, ricostruisce la biografia intellettuale e politica del conte viterbese Vincenzo Fani Ciotti.

Foto Fisioterapy Center

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