T-urbe#6 > Intelligentemente terra terra

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Blog - Oggi si parla della smart city: una città intelligente, ricca, cool, rivoluzionaria, attraente. E delle ombre che si porta dietro.

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Bello il doodle con tutti gli animaletti fumettosi, belli i photo contest, belli i video sull’importanza delle api e bella la nuova Miss Earth filippina. Bello tutto. Ma, adesso che son passate quasi due settimane, mi sento libera di esprimere tutta la mia perplessità sulla Giornata della Terra.

Anzi, non sono perplessa sull’Earth Day in sé, ma sulle cose che sono state scritte nei vari dossier e inserti speciali  di parecchi giornali online e cartacei.

La Giornata della Terra, nata nel 1970 negli Stati Uniti e promossa dalle Nazioni Unite, è un importante momento per mettere in luce le grandi questioni ambientali e per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale. Quest’anno è stata dedicata alle città e ai tram. E qui viene il bello: leggendo e documentandomi un po’, mossa sia da curiosità e interesse che da palese senso di colpa per tutti i miei atteggiamenti molto poco ecocompatibili ed ecosostenibili, sono stata risucchiata dal terribile vortice di aggettivi che mai vorrei sentire associati alla parola “città”. In ordine: intelligente, ricca, friendly, cool, rivoluzionaria, attraente e, udite udite, l’immancabile smart.

turbe6Credo che la locuzione smart city possa essere tranquillamente eliminata (o perlomeno sostituita) dal linguaggio corrente, soprattutto quello urbanistico, per diverse ragioni che risiedono innanzitutto nell’uso strumentale del termine, intercettato dalla moda del momento, impacchettato e brandizzato.

Fino a qualche tempo fa la parola più utilizzata, quella che donava un’aurea di fiducia e affidabilità a qualsiasi progetto era ‘sostenibilità’; ora la moda è cambiata, si usa ‘smart’. Un aggettivo che i grandi protagonisti dell’economia non hanno tardato a utilizzare per stampare un bel certificato di garanzia sul loro prodotto in vendita, come per esempio IBM  e Cisco.

La smart city viene descritta come “città tecnologicamente avanzata e intelligente, capace di attrarre investimenti

Quello che viene fuori leggendo le descrizioni delle nuove smart city è un’immagine di città composta da edifici ad alta efficienza energetica, attraversata solo da auto a idrogeno o elettriche, treni sotto vuoto, biciclette intelligenti, una città che ammette solo cibo prodotto da fattorie biologiche costruite nelle vicinanze, che utilizza energia elettrica generata dalla brezza marina e che ospita sensori di ogni ordine e grado per monitorare qualsiasi cosa.

E i cittadini? Come sarebbero i cittadini di questa smart city? Non potrebbero non essere altro fuorché belli, biondi, upper class, istruiti, sensibili, intelligenti soprattutto.

In quella immagine di città intelligente che in tanti propongono, però, da qualche parte è presente un’ombra che racchiude e nasconde le diseguaglianze, la povertà, l’esclusione sociale, la disoccupazione, il mancato accesso alla casa.

Ed è questo che fa stridere il tutto, anche se magari spinto da buone intenzioni di cambiamento rispettoso nei confronti dell’ambiente (atteggiamento ovviamente doveroso alla luce dei cambiamenti climatici globali). Un ambiente, però, che non è fatto solo di alberi, terra e acqua, ma anche di persone, uomini e donne che prima di monitorare il proprio frigo con un’app hanno il diritto di potersela comprare una casa dove mettere un frigo da monitorare, in una città che li accolga e li aiuti.

Anche a Viterbo sta sorgendo un nuovo quartiere smart, chissà che magari sappia cogliere le vere e complicate sfide urbane che quell’aggettivo si porta dietro.

(Piccolo inciso: a quanto pare l’Italia sta buttando all’aria 350 milioni di euro di finanziamenti diretti alla realizzazione di smart city per vari problemi burocratici. Davvero smart, appunto.)

 

 

 

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