Riflessioni “sgarbiane”: quattro punti intorno a cui girare

Riflessioni “sgarbiane”: quattro punti intorno a cui girare

Homepage - VITERBO - Vittori Sgarbi può sembrare simpatico e antipatico, ma certamente nella sua bulimia culturale sa gettare il sasso nello stagno. A proposito di alcune affermazioni fatte in questi giorni (e non solo da lui, s’intende) mi permetto di esporre alcune considerazioni e di avanzare alcune obiezioni.

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di Francesco Mattioli

VITERBO – Vittori Sgarbi può sembrare simpatico e antipatico, ma certamente nella sua bulimia culturale sa gettare il sasso nello stagno. A proposito di alcune affermazioni fatte in questi giorni (e non solo da lui, s’intende) mi permetto di esporre alcune considerazioni e di avanzare alcune obiezioni.

Ci sono quattro argomenti sui quali mi viene spontaneo discutere, punti che ovviamente riguardano Viterbo e il suo territorio, e nello specifico interventi di caratura sostanzialmente “culturale”. Nel caso improbabile che Sgarbi legga queste righe e comunque ad esclusivo beneficio dei suoi collaboratori locali che probabilmente lo faranno in sua vece, chiarisco che parlo di certi problemi in virtù di una quarantennale esperienza di ricerca accademica alla Sapienza.

Scusate le due righe di curriculum, ma servono a creare una qualche barriera al rischio di essere annoverato d’emblée da Sgarbi nella specie caprina che gli sta tanto a cuore…

Dunque, i quattro argomenti. Il primo è di carattere metodologico. Le iniziative culturali progettate e Viterbo devono essere delle “prime”, non delle “seconde edizioni” ad uso del volgo locale e del circondario. Se una mostra si è già tenuta a Mantova o a Caserta, a Viterbo non serve; Viterbo va lanciata a livello nazionale e internazionale perché sul piano dell’attrattività turistica conta la novità dell’evento e Viterbo ha bisogno di una domanda turistica di livello, sia in senso qualitativo che quantitativo, se si vuole schiodare la città e i suoi abitanti dal loro atavico provincialismo culturale. Viterbo capitale europea della cultura? Appunto…

Il secondo argomento riguarda la recente proposta di edificare un “Museo delle Macchine di S. Rosa” nell’area termale, magari in legno per aggirare le obiezioni della Sovrintendenza. Un museo va visitato, altrimenti è un magazzino; e va visitato in un itinerario culturale complessivo. Non puoi capire la cultura etrusca solo guardando un vaso in vetrina (che poi magari è pure di importazione o ispirazione greca…), devi visitare i luoghi, le necropoli, il territorio. A parte qualche nostalgico locale, quanti visitatori giunti a Viterbo per vivere una due giorni nel cuore del Trasporto avrebbero tempo e voglia di inoltrarsi nella landa termale per curiosare sulle Macchine del passato? Oppure: quali visitatori che hanno scelto le Terme per rigenerarsi nel weekend, spenderebbero il loro tempo a curiosare in un museo della Macchine, piuttosto che fare un passeggiata a Castel d’Asso o visitare San Pellegrino? ? Se il Museo fosse in città sarebbe diverso: il visitatore, per così dire, ci cadrebbe dentro. Ma in tal caso, in quale contenitore urbano mettere più Macchine di ventotto metri? Di edifici da riutilizzare, purtroppo, Viterbo ne ha a iosa (ex molini, soprattutto…), tenendo anche conto che non è detto che le Macchine si debbano visitare a pelo di
superficie, perché certi edifici potrebbero essere anche “scavati” nelle loro pavimentazioni… Il Museo comunque è una necessità storica e culturale impellente, altro che pezzi di Macchina ad ammuffire al centro di una rotatoria…

Il terzo argomento riguarda la proliferazione di impianti fotovoltaici ed eolici nella nostra provincia e la speciale protezione che occorre confermare al territorio che si estende tra Viterbo, Tuscania e Montalto, oggetto di vari progetti a riguardo. Certamente ve ne è una concentrazione eccessiva nel territorio viterbese rispetto al resto del Lazio, ma occorre considerare vari aspetti. C’è una necessità inderogabile di creare fonti energetiche alternative, dalle quali non si può e non si deve prescindere; e tuttavia occorre verificare se il paesaggio che si vuole tutelare è altrimenti produttivo o meno. Perché la Tuscia non può permettersi di guardare gli altri territori che crescono, che sia in agricoltura, in industria o in turismo.

Se quei territori che si intende destinare agli impianti di produzione elettrica pulita non danno al momento altri vantaggi per lo sviluppo del Viterbese, di questo cambio di ”destinazione d’uso” bisognerà farsene una ragione. Di certo quelle aree non possono essere lasciate come terreni incolti: in alternativa alla produzione elettrica, occorrerebbe pensare allora ad una agricoltura di tipo estensivo, che in ogni caso
altererebbe anch’essa l’aspetto originale, naturale del paesaggio? Oppure quel paesaggio, lasciato “incontaminato”, dovrebbe attrarre frotte di visitatori, tali da produrre reddito alla pari di una sua diversa utilizzazione, sia essa energetica o agricola? Lo dico con la morte nel cuore, ma la Tuscia non può permettersi di lasciare tutto come sta per garantire il volo degli uccelli migratori o per far crescere ameni prati d‘erba spontanea.

Perché non le verrebbe nulla in cambio e si allargherebbe a dismisura il gap sociale ed economico che già sta subendo nei confronti dell’Italia e dell’Europa: “sacrificarsi” per l’elettrico pulito, o ”sacrificarsi” per la conservazione di un paesaggio ameno? Di certo, non possiamo pensare che per il gusto estetico di quattro anime belle che devono godersi il paesaggio “originale” della Tuscia (?), nel frattempo centinaia di giovani abbandonano il Viterbese perché non vi trovano lavoro e occasioni per crescere.

E poi, di quale paesaggio stiamo parlando? Il paesaggio italiano ed europeo da tempo non è più naturale e comunque rappresenta una ricostruzione di natura storica e produttiva che si è evoluta e si evolve nel tempo. Il paesaggio non è solo quello rappresentato nei quadri dei pittori paesaggisti dal XVII secolo fino ai giorni nostri, composto da boschi incantati, castelli pittoreschi sullo sfondo e laghetti ameni sulla cui superficie si specchia una cima imbiancata di neve, e neppure quello truce, misterioso o fascinoso che fa da sfondo ad una scena caravaggesca. Il paesaggio è una scenografia in continua evoluzione prodotta dall’Uomo alla continua ricerca di compromessi tra bisogni e sostenibilità ambientale.

Il castello, la torre, il ponte che all’inizio sfregiavano un luogo incontaminato, nel tempo si sono trasformati in scenografie che
invocano incanto, gusto del bello e del pittoresco, sensazioni primigenie, passioni e tempeste del cuore. La stessa spianata termale che dal Bagnaccio giunge al Paliano in passato era un territorio boscoso, punteggiato da opere architettoniche e da infrastrutture a loro modo anche abbastanza invadenti, per cui occorrerebbe chiedersi in che senso e in quale misura vada “protetta” nella sua identità paesaggistica attuale ed entro quali limiti ragionevoli, senza rischiare di godere solo della precaria e incomunicabile vista di una sorta di Bella Addormentata che non va risvegliata…

Il quarto argomento è in parte una conseguenza del precedente. Tanta “rigidità” nel preservare un panorama d’insieme, ancorché esso stesso artificiale, delle terre di Tuscia, viene attuato anche nel conservare la storia urbana di Viterbo? Perché, pur tralasciando i vecchi orrori perpetrati nel dopoguerra e i decenni successivi (dall’affossamento della Torre di S. Biele all’invadenza del palazzo in fronte a Porta
Romana, dall’offesa alle mura urbiche del Molino Profili alla fine del singolare Zuccherificio, dalle costruzioni presto in disuso sul Colle della Trinità alla distruzione della Torre di Rolando in Corso Italia, tanto per citarne solo alcuni), vorrei ricordare lo scempio recente di Castel Firenze, quel che è successo alla chiesa della Crocetta, quel che avviene quotidianamente sulle facciate delle case del centro storico e i rischi che, in tempi di ristrutturazioni energetiche, corrono i palazzetti e le villette tardo liberty della zona dei Cappuccini. Dunque: disattenta mano libera sulla città, e indignata inflessibilità in campagna?

Ma si sa, Bruto è uomo d’onore…

Foto Fisioterapy Center

 

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