Corriere della Sera, Biblioteca di Viterbo e difficoltà con la classe politica locale prese a esempio del MalPaese

Corriere della Sera, Biblioteca di Viterbo e difficoltà con la classe politica locale prese a esempio del MalPaese

Politica - La biblioteca di Viterbo al centro di un articolo di Ernesto Galli della Loggia sulla cultura e l'ipocrisia in merito della politica italiana, dal livello nazionale a quello locale.

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Viterbo diventa un esempio per il BelPaese, una realtà che ce la fa da sé nonostante anche a queste latitudini funzionino le meccaniche più odiose del MalPaese. Ieri sul Corriere della Sera, all’interno dell’inserto Style, Ernesto Galli della Loggia ha tirato fuori un pezzo sulla cultura che mette a nudo cosa è la politica italiana e la meschinità del suo rapporto con la cultura.

 

Al centro del ragionamento la biblioteca Anselmo Anselmi di viale Trento, diventata luogo d’eccellenza. Ma più di quello che possiamo scrivere noi è interessante riprendere quello che ha scritto questa importante firma del Corriere. Uno “spottone” fantastico per la città dei papi e al tempo stesso un bello “sputtanamento” per l’intera classe politica italiana, viterbesi non esclusi.

 

L’ARTICOLO DI GALLI DELLA LOGGIA SU STYLE

 

Poche settimane fa ho visitato un luogo abbastanza eccezionale: eccezionale beninteso in senso positivo, specie se si pensa allo spettacolo che di solito offre in questo campo il nostro Paese. E anche il fatto che ora io ne sia a scrivere qui, su Style, non è affatto abituale. I giornali e chi vi collabora infatti, come si sa, preferiscono occuparsi delle cose che non vanno anziché di quelle che vanno, dei delitti anziché delle buone azioni. Ma ogni tanto è giusto fare un’eccezione.

 

Il luogo di cui sto parlando è una biblioteca: la biblioteca comunale di Viterbo. Non sto a descrivere le qualità – dalla gradevole accoglienza dei locali alla ricchezza del patrimonio librario, alla quantità delle iniziative collaterali – né le difficoltà che il suo direttore, in gran parte artefice di questo piccolo miracolo, ha finora incontrato con le autorità cittadine (ma con la nuova giunta pare che le cose stiano cambiando).

 

Difficoltà che, come si sa, in questo campo sono una costante: non ascoltiamo forse ogni giorno di musei, di siti archeologici, di beni culturali di ogni tipo che lamentano la mancanza di fondi, la scarsa cura e la disattenzione di questo o quel ministero, di questa o quella regione o comune? I politici di tutti i partiti sanno bene, infatti, che i soldi spesi per queste cose non portano voti, che gli elettori sono perlopiù interessati ad altro.

 

Ecco allora che la visita a una biblioteca – così come quella a qualunque altro luogo di analogo o anche maggiore rilievo culturale – può servirci a riflettere su un problema decisivo della democrazia. Al fatto cioè che questa è un sistema di governo che può funzionare senza effetti distruttivi solo a patto, però, che alcune aree sociali siano sottratte alle regole della democrazia stessa. Solo a patto che ci siano cioè degli ambiti in cui non valgano né il principio della volontà della maggioranza né quello del vantaggio per il maggior numero. Nei quali dunque siano applicati altri principi, altre regole: ad esempio quelle dell’etica, del merito, dell’obbligo della preservazione della storia e dell’identità collettiva. Una classe politica degna di questo nome deve comportarsi di conseguenza: a un posto di responsabilità va ad esempio promosso chi è più bravo e non chi è più amico del partito al potere, le persone in difficoltà meritano di essere aiutate anche se il loro voto è ininfluente, e una biblioteca o museo vanno finanziati nonostante che il numero di coloro che li frequentano possa essere relativamente piccolo. 

 

Vi sono cose che servono a una comunità anche se a prima vista non sembra. Come appunto una bella biblioteca come quella di Viterbo: la lettura di uno dei suoi tanti libri può in modo imprevedibile innescare una vocazione, indirizzare un destino, fa maturare una coscienza. La sua sola esistenza, non sottoposta alla regola dell’interesse – simile in questo a tutti i luoghi culturali -, è poi un segno visibile di diversità, serve a mantenere viva l’idea dell’alternativa rispetto al panorama sociale circostante, sempre più dominato, all’opposto, dai criteri della pura convenienza materiale. 

 

E infine una biblioteca – come un museo, come un antico edificio romano, come un palazzo del Rinascimento – è il deposito elettivo del ricordo, rappresenta la memoria sociale di una comunità, il suo più profondo connotato identitario. Perdendosi il quale anche tutto il resto, alla fine si perde e muore. 

 

 

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