Vita da numeri 1 – Leonardo Bonucci, uno di noi che ce l’ha fatta

Vita da numeri 1 – Leonardo Bonucci, uno di noi che ce l’ha fatta

Homepage - E' stato il personaggio delle ultime settimane. Tutti ne hanno parlato e sparlato. Crocifisso e idolatrato. Qualcuno lo ha accolto come il Messia mentre altri lo hanno rinnegato e maledetto. Non saranno stati di certo facili gli ultimi giorni per Leonardo Bonucci.

ADimensione Font+- Stampa

E’ stato il personaggio delle ultime settimane. Tutti ne hanno parlato e sparlato. Crocifisso e idolatrato. Qualcuno lo ha accolto come il Messia mentre altri lo hanno rinnegato e maledetto.
Non saranno stati di certo facili gli ultimi giorni per Leonardo Bonucci.

Qualcuno se ne sarà uscito con le classiche frasi che “tanto non gli importerà niente”, facendogli i soliti conti in tasca ma, come al solito, senza ragionare sul fatto che i soldi possono comprare il mondo ma non comprano di certo il cuore.

Certe sensazioni, alcune paure e i tantissimi, i troppi ricordi, non credo che possano essere cancellati con così tanta superficialità come qualcuno vorrebbe far credere.

Arrivi in un club che sei uno dei tanti e in pochi anni diventi tra i più forti al mondo. Successi, riconoscimenti e delusioni non possono e non devono essere messi da parte con una semplice firma su un nuovo foglio di carta.

Qualcuno ha voluto che tutto finisse e così è stato. Come succede troppo spesso in questo calcio che lascia sempre meno spazio alle bandiere. Una volta questi calciatori erano l’orgoglio, ora sono il problema.

La cosa più semplice è dare la colpa ai giocatori ma ho come la sensazione che negli ultimi anni la politica delle società di calcio, specialmente quella dei club più prestigiosi, è proprio quella di non creare idoli delle folle in modo da poter gestire il personaggio di turno alla stregua di un semplice “dipendente”.

E pensare che tutto era iniziato su quel campo polveroso di Pianoscarano, a Viterbo. Leonardo era uno dei tanti bambini di talento che giocavano nella squadra dei Pulcini. Un bambino come tanti. Un bambino che non voleva mai che finisse l’allenamento e che quando succedeva continuava a giocare anche fuori gli spogliatoi in attesa di andare a casa.

Lo ricordo piccolo che giocava in mezzo al campo e lo notavo non solo per il fatto che era tra i più bravi ma anche perché era il fratello di un mio compagno di squadra, Riccardo.

Gli anni del “Carmine” sono, per tutti noi che ci siamo passati da quelle parti, tra i più belli di un’infanzia semplice e senza tanti fronzoli. La terra di quel rettangolo di gioco ce la trovavamo dappertutto ma non l’abbiamo mai disprezzata. Forse perché c’era solo quella e nemmeno sapevamo cosa potesse essere un campo in erba sintetica o forse perché a quell’età avevamo solo una grande voglia di non fermarci mai.

Si correva su ogni pallone, si contrastava con decisione ma soprattutto ci si voleva bene. C’era quel clima familiare che partiva dalle amicizie in campo e che coinvolgeva tutti i genitori sulle tribune, che ogni volta ci seguivano con grande entusiasmo e partecipazione.

Le urla di Dorita, la madre di Leonardo, le ricordo ancora oggi e mi diverto a immaginare la Dorita di allora sulla tribuna magari di San Siro o dello Juventus Stadium.

Man mano poi che passano gli anni tutto cambia nella normalità della vita. Si cresce e le strade prendono diverse direzioni ma non avrei mai pensato che un giorno, guardando Dribbling, avrei visto Leonardo su Rai Due.

Quel piccolo bambino affettuoso era diventato un gigante. Il fisico statuario e quel tono di voce fermo che provava a nascondere l’emozione di essere intervistato da una trasmissione che chissà quante volte aveva visto prima.

Era un servizio sulla giovane coppia difensiva del Bari Ranocchia-Bonucci. Ma se il primo non sapevo neanche chi fosse il secondo sentivo che faceva parte di me. Ricordo che subito dopo chiamai Riccardo per commentare quello che avevo appena visto e per manifestargli lo stupore di uno che ricordava un semplice bambino e invece si ritrovava in televisione un uomo alto un metro e novanta.

L’anno successivo Leo passa alla Juventus e in pochi anni diventa l’idolo della tifoseria bianconera per il suo carisma e per la sua fame di vittoria. Durante i primi anni in bianconero, quando non era ancora il personaggio di oggi, lo trovai on-line su Facebook e gli scrissi una battuta per salutarlo, ma dal momento che erano passati troppi anni gli chiesi se si ricordasse di me. Prontamente mi rispose: “Come no portierone”.

Sorrisi come un pazzo a quella risposta che magari era anche giusta dal momento che lui al tempo del Pianoscarano era molto più piccolo di noi e chissà, magari ci vedeva come dei giganti. Ma contestualizzato a quella sera era davvero imbarazzante sentirsi chiamare in quel modo, visto che il suo portiere di allora già era un certo Gianluigi Buffon.

Spero un giorno di poterlo incontrare nuovamente perché dagli anni di Viterbo non mi è mai più capitato di vederlo dal vivo. Vorrei conoscerlo nuovamente dal momento che tanti anni fa avevo incontrato un piccolo bambino di nome Leonardo mentre oggi, invece, incontrerei un fuoriclasse che tutti conoscono come Bonucci.

Mi piacerebbe dirgli che ammiro ogni suo singolo gesto e il suo modo di stare in campo. Che adoro quel carattere così forte al limite della presunzione e quella sicurezza di chi è padrone di se stesso. Di chi conosce i propri limiti e di chi esalta in maniera perfetta le proprie qualità.

Da pochi giorni è iniziata per Bonucci una nuova avventura in Rosso-Nero. Dalla Juventus è passato al Milan. Da Torino a Milano. Dalla squadra campione d’Italia in carica e finalista di Champions League alla squadra italiana che ha più vinto a livello europeo.

Qualcuno non ha capito sicuramente quello che è successo o forse hanno voluto fare finta per tenere il punto e ragionare da tifosi ma da juventino auguro a Leo le migliori fortune, non solo per l’orgoglio di come ha indossato la maglia bianco-nera ma soprattutto perché è bellissimo vedere che uno di noi ce l’ha fatta. #vitadanumeri1

Foto Fisioterapy Center

Jooble La Fune