Vita da numeri 1 – Il mio amore è differente (sui tragici fatti di Orte)

Vita da numeri 1 – Il mio amore è differente (sui tragici fatti di Orte)

Homepage - Tutti in questi giorni siamo stati sconvolti dalla drammatica notizia arrivata da Orte. Omicidio-suicidio ormai è così che si chiama e purtroppo se ne sente parlare troppo spesso.

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Tutti in questi giorni siamo stati sconvolti dalla drammatica notizia arrivata da Orte. Omicidio-suicidio ormai è così che si chiama e purtroppo se ne sente parlare troppo spesso.

Due giovani vite spezzate in un secondo. La prima voluta, cercata e trovata mentre la seconda vittima assoluta di una follia figlia di una generazione abituata a non essere contraddetta.
Si è scritto molto. Insulti e imprecazioni e rabbia. Tanta rabbia. “Non si può morire così. Non si deve morire così”.

Ho letto molte cose, alcune condivisibili e altre meno ma una cosa più di tutte mi ha fatto riflettere in maniera sconvolgente e pericolosa: il consiglio di alcuni esperti di non accettare più l’ ultimo appuntamento dopo che vi siete lasciati. 

Ma dove siamo arrivati? E’ più possibile vivere così? Ma soprattutto, quali sono le contromosse che si stanno mettendo in pratica per mettere fine a questa scia di terrore che ci sta angosciando l’esistenza?

Ho come l’impressione che le nuove generazioni siano poco avvezze alla sconfitta. Non la accettano, non la vivono e non la capiscono. Qualche anno fa, feci un interessante corso sull’ educazione emotiva con la dottoressa Schiralli e la dottoressa Ercoli e ricordo mi aprirono un mondo. Mi fecero capire quanto sia importante per un genitore saper insegnare a vivere le emozioni ai propri bambini.

Come insegnare loro a crearsi una propria “Valigia di sicurezza” nel carattere nella quale attingere nei momenti delicati della vita. I bambini vanno ascoltati, vissuti e soprattutto capiti. Proprio l’altro giorno mia figlia mi chiede di giocare con la palla ma non faccio in tempo ad alzarmi che lei subito aggiunge: “Babbo io sono una vincitrice, tu devi perdere”.

Quell’affermazione mi colpì e non riuscii a farla passare come una semplice frase detta da una bambina di poco più di quattro anni. Si doveva intervenire immediatamente e lo si doveva fare subito se si voleva provare a indicare la strada giusta per un futuro equilibrato e reale.

Mi sono alzato e sembravo più piccolo di lei: “Vedi Sveva c’ è un problema: voglio vincere anch’io perché neanche a me piace perdere”. Mia moglie ci guardava e sorrideva ma aveva già capito che la situazione si stava facendo seria. Ovviamente ho vinto io e devo ammettere che ho anche esultato a ogni punto messo a segno … ma credo che alla fine lo abbia capito che la cosa veramente importante non era il risultato ma il fatto che ci fossimo divertiti insieme.

Non sono uno psicologo ma credo che siano queste le situazioni che noi genitori abbiamo il dovere di monitorare in modo da intervenire nella maniera più consona al momento. Si parla spesso di bullismo. Si cercano le soluzioni e come fermare il fenomeno senza pensare mai che il problema è come sempre all’ interno delle mura domestiche. Come possono sapere bambini di quattro anni la differenza tra la bellezza di un vestito piuttosto che un altro? Di quella maschera di carnevale invece dell’ altra? Per loro non vi è differenza. Per loro la bellezza è anche un semplice nastro legato intorno alla testa. Con la fantasia loro trovano amici immaginari in una tazza di plastica e danzano in silenzio come se fossero accompagnati da un’ orchestra di violini. Ma per noi genitori? Ci basta tutto questo? Assolutamente no. Tutto deve essere dannatamente a posto. Vestiti, capelli, borse, scarpe creando così dei piccoli mostri che nel corso degli anni si copriranno di tutto riempendosi di niente.

Quando eravamo piccoli si giocava per strada e forse ci si abituava prima a sopportare il peso della sconfitta. I giochi erano veri e non bastava riavviare il gioco o ricominciare nuovamente la partita per superare il “muro” che ci aveva tolto l’ ultima vita. Prima quando perdevi la partitella di pallone o a nascondino tornavi a casa con il magone e pieno di rabbia ma dovevi per forza aspettare il giorno dopo per ottenere la tua rivincita. Chissà se era proprio quello il segreto… il tempo.

Forse quel tempo ci aiutava a metabolizzare…a crescere. Forse ci aiutava a riflettere e a capire che non sempre le cose vanno nella stessa direzione dei nostri sogni. Magari era proprio quel tempo che smorzava la rabbia e faceva tornare il sereno. Che trasformava la delusione in energia e che ci permetteva, una volta tornati a casa, al sicuro con i nostri genitori, di guardare fuori dalla finestra e sentire quel mondo, che ci faceva così tanta paura, diventare sempre più nostro.

#VITADANUMERI1

Foto Fisioterapy Center

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