Vita da numeri 1 – “E chiamateci pure guardie…”

Vita da numeri 1 – “E chiamateci pure guardie…”

Homepage - La rubrica di Giuseppe Iacomini questa settimana ci porta all'interno del carcere. Una realtà particolare che ci viene raccontata dal punto di vista delle "guardie".

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È una linea sottile quella che divide ciò che è buono e ciò che è cattivo, giusto e sbagliato, Inferno e Paradiso.

A volte è un destino beffardo, altre volte è solo fortuna ma, ogni giorno, per l’ Agente di sezione, quella linea sottile non è altro che un cancello. Uno “sbarramento…”.

Sì, è questo il nome tecnico di quel cancello, per chi, dopo avere indossato la sua uniforme operativa e aver salito le scale della sua prigione, lo varca per condurlo al suo posto di servizio.

Un cancello, pieno di sbarre, che lo immette, sia alla sua destra che alla sua sinistra, in un corridoio lunghissimo dove scorrono, su un lato, tantissime porte di ferro che hanno li nome di “blindati”.

Chiusi. Come chiuse sono all’interno le diverse storie e i drammi delle persone che le riempiono. Chiusi come l’odore stagnante e terribile che ogni volta lo sorprende e che lo trova sempre impreparato. E lui è di nuovo là, come ogni giorno. Da solo, con il suo grande mazzo di chiavi in mano e in compagnia della sola tensione. Quella di chi spera che la giornata passi in fretta e senza particolari problemi.

Si comincia. Prima apre i blindati e poi ogni singola camera. Sì, ora si chiama “camera di pernottamento”, giammai cella…l’Europa lo sanzionerebbe!

Ma come farlo comprendere ai colleghi più “anziani”? Essi rispondono: “ Ragazzo, ma che dici? Queste so’ celle…basta co’ tutti sti diritti ai detenuti… e a noi chi ci pensa? Che garanzie abbiamo?”.

Poi imprecano e sbuffano ma come sempre danno l’esempio giusto e si rimboccano le maniche.
Ma se il detenuto sta male o si vuole impiccare sono proprio loro che corrono per primi. Come sempre si rimboccano le maniche e, instancabili, continuano quel percorso sperando che un giorno li porterà alla meritata pensione.

Meno male che ci sono loro. Gli “anziani” sono la sua fortuna, la sua “mamma” e il suo “papà” per lui “giovane scheggia” che varca quel cancello con la paura di non uscirne vivo, specialmente la prima volta.

Dopo un po’ , però, non sa se gli fa più paura riuscire a tener cara la sua pelle o non essere riuscito a sventare prima quell’impiccagione.

Sì, perché l’Agente che lavora là dentro non è più solo. Una volta effettuata l’apertura si muove tra tanti occhi umani dove ognuno di essi lo guardano in maniera differente e ognuno sembra voler dire cose diverse.

Qualcuno gli sorride, altri lo sfidano. Tanti gli chiedono aiuto mentre molti vedono in lui quella legge a cui non vorrebbero mai adeguarsi. Ha cominciato il suo turno alle 7.30 ma alle 9.00 già gli sembra che sia passata una vita ma è solo l’inizio.

Poi, dalle 9.00 alle 11.00, inizia il trambusto. La prigione si riappropria della sua anima. La pretende e se ne impossessa. Si aprono i “passeggi” dove i detenuti ne approfittano per andare all’aria aperta. Iniziano i colloqui con i familiari e accedono nei locali che la Direzione mette loro a disposizione per svolgere attività ricreative e sportive.

Ma ecco che il telefono squilla a più non posso e lui urla il nome del detenuto che è stato chiamato per fare il colloquio. Si volta a destra e sinistra per cercarlo ed informarlo su dove deve andare.
Quando quasi tutti sono finalmente usciti dalla sezione ecco che qualcuno ne approfitta per avvicinarsi alla sua postazione. In quei momenti quel qualcuno sente un grande bisogno di parlare e soprattutto di sentirsi ascoltato. Ora non é più un dialogo tra Agente e detenuto. Ora si incontrano due uomini di cui uno ha un desiderio incredibile di raccontare di sé, di quello che era e di quello che vorrebbe tornare ad essere. Un uomo che ancora sogna come un bambino e che spera che tutto questo finisca al più presto perché vuole riprendersi la sua vita e cancellare dalla testa quella parte che lo ha distrutto.

Ed ecco che accade il miracolo. Finalmente l’Agente capisce qual è il senso del suo lavoro e riconosce di essere stato fortunato a crescere insieme a persone positive che lo hanno aiutato a non sbagliare e a scegliere la strada giusta.

Poi il dialogo si interrompe bruscamente perché la curiosità degli altri detenuti che rientrano è tale che non gli consente di continuare per non apparire troppo confidenziale.

E di nuovo regna la legge, quella non scritta, che vuole che non si parli troppo con le “guardie”. Lo vede allontanarsi. Gli sembra di vedere e di toccare il cuore di quel detenuto che un attimo prima gli si era affidato per poi tornare ancora una volta di pietra per non essere sopraffatto da quell’inferno in cui è costretto a vivere. Ma il suo ringraziamento per avergli regalato del tempo é la soddisfazione più grande di quel lavoro che, purtroppo, lo ha già consumato.

Alle 15.30 arriva il cambio e finalmente torna a casa. Quel cancello che ha attraversato ad inizio turno ora lo sente chiudersi alle sue spalle. Scende le scale per tornare dalla sua famiglia, dai suoi affetti. Scambia qualche battuta con chi, come lui, ha trascorso la giornata allo stesso modo.
Ma quando è finalmente solo nella sua macchina e incontra la sua immagine riflessa nello specchietto, non vede solamente una “guardia” come lo chiamano in troppi, ma guarda con orgoglio l’uomo che è diventato e che incarna l’immagine della giustizia.

#vitadanumeri1

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