Shoah, ricordare sempre che il male è banale

Shoah, ricordare sempre che il male è banale

Editoriali - Nel Giorno della Memoria ci sembra importante mettere al centro la riflessione sulla Shoah. Abbiamo voluto farlo mettendo in gioco una prospettiva particolare, che magari originerà commenti e critiche.

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Il male è banale e ti sfiora tante volte nella vita, senza che magari te ne accorgi. A volte sei tu il male e magari ti racconti che le cose stanno diversamente. “L’ho fatto perché non potevo fare altrimenti”, “Ho eseguito un ordine”. Sono queste le frasi che più hanno risuonato nelle aule di tribunale nel secondo dopoguerra. Davanti al giudice una serie di uomini. Stanchi, con gli occhi spenti o freddi come quelli di un serpente. Anni prima avevano “obbedito a ordini”. Anche quelli che gli ordini li avevano dati, ma sempre rispettando l’ordine superiore del fuhrer Adolf Hitler.

Quindi era lui il male e i vari SS e nazisti in genere dei bracci acefali, o qualcosa del genere. Questa la strategia difensiva di tanti tedeschi processati per il crimine della Shoah.

Lo sterminio degli ebrei è un pozzo fondo nella storia dell’umanità. Qualcosa che fa venire i brividi ancora oggi. Oggi che i profughi, che più borghesemente è uso chiamare migranti, si ammassano nella steppa dei Balcani tra la neve. Oggi che li vediamo lì, dai nostri televisori e nelle nostre case calde, e non riusciamo a capire che la frase che dovrebbe chiamarci alla mente è solo una: “Se questo è un uomo”.

Primo Levi. Primo Levi, sfuggito all’eccedio, si uccise da solo. Difficile capire perché, saperlo esattamente. Quella roba che c’è stata nel cuore dell’Europa di settanta anni fa ti scava dentro. Anche se le sei sopravvissuto. Scava perché dice chi siamo, chi siamo noi uomini. Esseri capaci di tutto. Tanto quelli che hanno fatto, quanto gli altri che hanno lasciato fare.

Perché quando gli ebrei sono stati rastrellati dalla casa a Porta della Verità a Viterbo c’erano gli aguzzini e c’erano gli indifferenti. Banale la posizione dell’indifferente. Banale come il male. Le leggi razziali in Italia hanno scavato dal 1938 gli uomini e le donne di questa nazione. E fino al 1943 in pochi hanno preferito la libertà della galera alla schiavitù dell’indifferenza o quantomeno del lasciar fare. Questo ci insegna la Shoah, insegna che il male è banale. Talmente tanto da entrarci dentro quando scegliamo di non stare con nessuno, di non prendere posizione. Perché non stare con nessuno significa comunque stare da qualche parte. E in genere significa stare dalla parte sbagliata, quella del tiranno, dell’arrogante, del violento. E’ come quando a scuola ti pestano il compagno di banco ma non fai niente per evitare di prenderle anche tu.

La Shoah ci mette allo specchio. Racconta la sconfitta come uomini dei più. I veri sconfitti non furono quelli che vennero caricati a forza sui treni ma chi restò fermo. “Se questo è un uomo”. Uno che resta fermo, per paura o convenienza, è un uomo? No, è uno che tira a campare. Anche lui è dentro un campo di concentramento. E la scelta si compie ogni giorno: quando voti per la promessa di un posto di lavoro, quando ti fai gli affari tuoi mentre qualcuno depreda e deruba i beni di tutti, le casse di Comuni, Regioni, dello Stato. Mentre ridi al telefono perché c’è stato un terremoto e te sei un costruttore di quelli con le mani in pasta. Anche, per mettere nel ballo fatti della nostra cronaca attuale, quando truffi sui controlli e riparazioni dei mezzi del Cotral e poi questi prendono fuoco.

Il male è banale. Troppo banale. La Shoah può essere letta come dicotomia tra bene e male, tra i poveretti degli ebrei e gli aguzzini nazisti. Questa lettura è la più erronea, ma anche quella più raccontata dalla storia. Quella dei lager non è affatto una storia a due. E’ stata una storia a tre: gli ebrei, la canaglia nazista e gli indifferenti. Tutti vittime di se stessi e di un grande inganno. “Se questo è un uomo”.

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