Publio Muratore, il viterbese sopravvissuto all’orrore dei campi di concentramento

Publio Muratore, il viterbese sopravvissuto all’orrore dei campi di concentramento

Homepage - Questa domenica, quella che segue il 27 gennaio e quindi il Giorno della Memoria, abbiamo deciso di riproporre una storia che "scovammo" nell'anno d'esordio de La Fune. Allora eravamo un piccolo giornale e questa storia finì sotto gli occhi di un numero di lettori limitato, rispetto a quello che La Fune è in grado di raggiungere oggi. Da questa constatazione la decisione di riproporre la storia di un viterbese finito nell'orrore dei lager. Buona lettura.

ADimensione Font+- Stampa

Questa domenica, quella che segue il 27 gennaio e quindi il Giorno della Memoria, abbiamo deciso di riproporre una storia che “scovammo” nell’anno d’esordio de La Fune. Allora eravamo un piccolo giornale e questa storia finì sotto gli occhi di un numero di lettori limitato, rispetto a quello che La Fune è in grado di raggiungere oggi. Da questa constatazione la decisione di riproporre la storia di un viterbese finito nell’orrore dei lager. Buona lettura.

 

“Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi e più deformi”

(Primo Levi, ‘Se questo è un uomo’)

 

27 gennaio, giorno della memoria. Questa è la storia di Publio Muratore, un viterbese di Gallese finito a Buckenwald e Mauthausen e Ravensbruck. Campi di lavoro, di concentramento. Correvano gli anni peggiori di quel secolo definito dagli storici “mattatoio ‘900”. Muratore è della classe del ’18, 1918. Abbastanza grande per trovarsi coinvolto, prima nel sogno di conquista di Grecia e Albania, poi in un incarico diplomatico tra Nizza e Roma, e infine dietro al filo spinato dei campi della vergogna.

L’8 settembre gli dice di tornarsene a casa, così parte da Nizza con l’idea di riparare a Gallese. Viene però intercettato dai nazisti e finisce per diventare un deportato.

Siamo andati a cercare la sua storia per raccontarvi qualcosa di un orrore che non va dimenticato, un orrore che finì per chiudere nelle sue spirali gente di ogni tipo, specie sul finire della seconda guerra mondiale. A testimoniarci quei fatti è la nipote di Publio, Melissa Mongiardo. “Come tutti i sopravvissuti di quella tragedia non voleva parlarne – ci racconta Melissa -. Quando mia madre e le mie zie chiesero a mio nonno di portarle a visitare i campi di sterminio dove era stato prigioniero in Polonia, una volta arrivati là dentro, mio nonno svenne”. “Ricordo che una volta da bambina mi diede uno schiaffo, l’unico in tutta la sua vita – continua il racconto -. Stavo mangiando la pasta accompagnandomi con il pane e lui non riusciva a guardarmi. ‘Stai mangiando come facevano i tedeschi’, mi disse”.

Publio Muratore riuscì a scappare nel 1945, poco dopo la liberazione di Auschwitz. Di lì a breve anche Berlino sarebbe capitolata. Con un gruppo di persone scappate dai campi mise in piedi un corpo di ballo, con il quale improvvisavano spettacoli di strada e racimolavano quello che gli servì per sopravvivere durante il viaggio di ritorno a casa. L’ultimo tratto lo fece insieme a un altro sopravvissuto che faceva ritorno a Roma. Fecero un patto, se uno dei due non fosse sopravvissuto l’altro si sarebbe dovuto recare dalla famiglia per raccontare quanto accaduto. Furono colti da un temporale e ripararono in una casa, il compagno di Publio è morto lì. Il destino aveva deciso che sarebbe dovuto sopravvivere all’orrore della guerra e dei campi per morire in quella campagna, a causa di una tegola che gli cadde in testa dal tetto. Publio mantenne la promessa, scese fino a Roma per poi chiudere questa lunga storia a Gallese.

Una volta lì, prese gli strumenti del suo lavoro e fece un grande dipinto sul muro di fronte al duomo. Una Sacra Famiglia che è ancora possibile vedere, era il suo ex voto. Aveva promesso che se l’avesse scampata avrebbe reso così omaggio alla protezione ricevuta dal cielo, alla protezione che gli aveva permesso di ritornare dall’inferno.

Publio era un pittore e proprio questa sua arte gli permise un trattamento meno rigido nei campi, probabilmente fu questo a sottrarlo alla morte. Anche se un giorno rischiò grosso, rischiò di pagare con la vita un gesto di coraggio. Stava dipingendo un ufficiale tedesco morto. Nei campi lo utilizzavano per fare questo genere di ritratti, in voga all’epoca. Tutti i tedeschi erano distratti dall’avvenimento e i compagni di dormitorio di Publio ne approfittarono per rubare delle patate. Il furto venne scoperto e i tedeschi radunarono tutta la camerata chiedendo chi fosse stato l’autore del gesto. O quel nome, che sarebbe stato punito con la morte, o la morte di tutti. Publio fece un passo avanti, i nazisti obiettarono perché erano con lui mentre dipingeva e quindi non poteva essere il responsabile dell’ammanco di patate. Ammirarono il gesto però e decisero di non uccidere nessuno.

Di quelle patate ha portato con sé il ricordo, uno dei pochi che è riuscito a condividere nel tempo con la sua famiglia. “Ricordava di quando le bollivano nella loro stessa urina – racconta Melissa -. Di quando quell’urina, ammassata dentro grandi contenitori dovevano svuotarla a spalla”.

Publio ha lasciato un nastro inciso, dove racconta tutta la sua storia sui campi di concentramento. Un orrore talmente profondo che ha voluto condividere soltanto con la moglie, che oggi custodisce quella registrazione e non vuole farla ascoltare ai nipoti. Questo è la Shoah.

Foto Fisioterapy Center

Jooble La Fune