Populismi, il libro di Anselmi per Mondadori: “L’Italia ne è stata pioniera”

Populismi, il libro di Anselmi per Mondadori: “L’Italia ne è stata pioniera”

Homepage - Da anni Manuel Anselmi studia il populismo, che se per molti è solo sintomo di negatività, ha anche degli aspetti positivi. Ci siamo fatti una chiacchierata con lui per capirne di più su un dibattito che dura almeno 50 anni.

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Populismi: Manuel Anselmi, studioso della Tuscia che tiene corsi in Università di tutto il mondo, ha scritto un libro in uscita per Mondadori, che presenta le varie teorie sul fenomeno che sta coinvolgendo ormai tutto il mondo. Dall’America Latina all’Italia, dagli Usa alla Gran Bretagna. Fino ai territori delle piccole comunità locali, come Viterbo. Da anni Anselmi studia il populismo, che se per molti è solo sintomo di negatività, ha anche degli aspetti positivi. Ci siamo fatti una chiacchierata con Anselmi per capirne di più su un dibattito che dura almeno 50 anni.

 

Nella scheda del libro si parla di “problema politico”. Innanzitutto il populismo è un problema?

“È una manifestazione che avviene in contesti democratici in particolari situazioni. Secondo alcuni si tratta di un sintomo, ma di sicuro è una anomalia della democrazia che ha caratteristiche come la de-istituzionalizzazione e la carenza di rappresentanza politica. Quando la democrazia liberale perde il suo funzionamento emerge una nuova situazione politica, che è il populismo, basata sull’immediatezza, sulla ricerca di un leader che interpreti in modo diretto le istanze del popolo e che si basa sulla delegittimazione delle istituzioni. Cose che in Italia conosciamo bene da 20 anni”.

Quindi è positivo o negativo?

“Gli analisti non danno giudizi. Nell’opinione pubblica il populismo è considerato negativo, ma è una risposta a una negatività della politica ed è una risposta alla crisi della democrazia liberale. Le persone così esprimono la sovranità popolare in modo diretto e immediato”.

È un punto di arrivo o l’inizio di qualcos’altro?

“È il risultato di una crisi dei fondamenti della democrazia. Ormai si è diffuso in tutti i contesti geografici, anche nel cuore delle democrazie più consolidate. Quelle che un tempo erano considerate le più stabili. Basti pensare che negli anni ’70 e ’80 Usa e Gran Bretagna si consideravano immuni dal populismo. Oggi con la Brexit e con Trump vediamo che non è così. In pratica le democrazie fanno un passaggio di paradigmi: c’è una trasformazione profonda e le basi sociali cercano una rappresentanza alternativa. Quindi più che un punto di arrivo è il punto di partenza di nuove forme di democrazia, che dopo questo periodo dovrà cercare nuove forme di strutturazione”.

Facendo una semplificazione, quindi quando la classe politica non attualizza la democrazia, arriva il populismo?

“I cicli di populismo arrivano quando si esaurisce un ciclo di elitismo. Noi abbiamo avuto la svolta populistica con Silvio Berlusconi venti anni fa. L’Italia, tra l’altro, è molto studiata all’estero perché è l’unico posto nel quale si concentrano più forme di populismo tutte insieme. Berlusconi, Grillo e per alcuni anche Renzi. La svolta arriva quando il sistema si è esaurito. Ad esempio negli anni ‘90 con tangentopoli che in poco tempo ha liquidato un sistema pluridecennale. Nel momento in cui un sistema inizia a non funzionare più, ecco l’alternativa immediata del populismo che propone una leadership diversa e una forma politica più fluida. Molti movimenti politici in Italia oggi hanno questa matrice”.

Prima ha detto che si tratta di un fenomeno che si manifesta su più contesti geografici differenti. Ma anche su più livelli territoriali?

“Sì ci sono anche forme populistiche locali. Con i colleghi dell’Università di Perugia abbiamo scritto un libro sul populismo penale. Ecco questo è caratterizzato ad esempio da forme di giustizialismo che sono spesso cavalcate da leader locali. Ad esempio il tema della sicurezza, che viene usato senza tener conto dei dati reali, che diventa argomento di campagna elettorale. Questo è un tipico esempio di populismo penale, perché per creare consenso si comunica un rischio che non c’è. Questo spesso viene portato avanti da candidati a sindaco. Per esempio a Viterbo mi vengono in mente la raccolta firme per una revisione di legge per la difesa personale di qualche tempo fa oppure la questione dell’accattonaggio di questi giorni. Situazioni cavalcate per ottenere consenso politico”.

Nella copertina del libro c’è il presidente degli Usa Donald Trump, è un caso clamoroso?

“È un caso eclatante, anche se non nuovo. Non si era mai visto un candidato così andare alla Casa Bianca, però c’è una tradizione di studi sul populismo americano e ci sono precedenti interessantissimi negli Usa, come Sarah Palin. Certo però non era stata eletta, ma dimostra che c’è una tradizione nordamericana, che è anche molto studiata”.

C’è un antidoto al populismo?

“Il populismo c’è quando salta la mediazione politica, quindi l’antidoto è la mediazione politica. Laddove c’è un sistema istituzionale che permette la mediazione e uno Stato capace a mediare le istanze della base, lì il populismo è meno frequente. Così come quando c’è una cultura civica diffusa che riesce a resistere perché crede nella mediazione, come è accaduto in Olanda ultimamente”.

I social network hanno un ruolo?

“Proprio in Italia ci sono forme come il telepopulismo e il web-populism. Proprio il web-populism è legato a internet e ai social network. Il populismo interpreta i mezzi del momento. Oggi internet ha permesso la formazione di comunità che prima non esistevano e quindi ha permesso nuove forme di populismo. Ha poi il merito di aver portato molte persone che non partecipavano alla politica a esprimere nuovamente la propria opinione. Quindi il populismo ha anche la funzione di recuperare alla partecipazione politica. Basti pensare a quante persone uscite dalla destra e dalla sinistra ora sono militanti del Movimento 5 Stelle. Il Movmento 5 Stelle ha svolto proprio questa funzione di recupero alla partecipazione dei cittadini che fino a 15 anni fa erano invece disinteressati”.

Se dopo la democrazia liberale va in crisi anche il populismo, cosa accadrà? È l’anticamera dell’autoritarismo?

“A differenza di qualche decennio fa quando i populismi erano considerati solo fenomeni di protesta od opposizione, negli ultimi 15 anni abbiamo avuto molte forme di populismo, soprattutto in America Latina, che sono andati al Governo e hanno addirittura cambiato la Costituzione: come ad esempio Hugo Chavez in Venezuala o Evo Morales in Bolivia. In Europa, in Ungheria, Viktor Orban ha realizzato una Costituzione populista che è molto studiata. I fenomeni della democrazia vengono deformati sulla base dei principi di immediatezza. In certi casi sì, si arriva all’autoritarismo, ma si parla di autoritarismo soft, ovvero senza forme di violenza o forme di privazione di libertà violenta. Mancano però, ad esempio, i contrappesi tra poteri come invece ci sono nelle democrazie liberali. Queste Costituzioni non li prevedono, in nome del popolo che chiede una leadership forte. E questo è il dilemma di oggi: queste Costituzioni possono essere foriere di democrazia oppure no? Purtroppo nella maggior parte dei casi no”.

 

 

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