Paolo Pelliccia e la “sassata” viterbese sul Salone del Libro di Torino

Paolo Pelliccia e la “sassata” viterbese sul Salone del Libro di Torino

Politica - La città dei papi farà parlare di sé al Salone del Libro di Torino. Aperto da poche ore sarà "punzecchiato" da un manifesto stampato all'interno del sistema delle biblioteche viterbesi.

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Viterbo irrompe al Salone del Libro di Torino. Il presidente del Consorzio Provinciale Biblioteche di Viterbo sarà presente fino all’ultimo giorno, per incontrare imprenditori, editori, scrittori. L’irruzione però non è Pelliccia, lui è il veicolo. L’irruzione è un manifesto (Vuoto a leggere. Manifesto per un Paese che ha disimparato a leggere i libri come il suo presente). A ben vedere anche il manifesto è un mezzo, sono le idee contenute a voler rompere.

 

Va tutto bene? “Col cazzo”, ci risponderebbe così e, pur non pronunciando questa parola direttamente, ce lo dice con il suo ragionamento Paolo Pelliccia, da due anni e mezzo alla guida del Consorzio Provinciale Biblioteche di Viterbo.

 

E’ in viaggio per Torino, quando lo raggiungiamo al telefono. Si sente il vento che passa attraverso il finestrino e quel rumore inconfondibile di autostrada. Rotta sul Salone del Libro, ven-ti-set-te-si-ma edizione. Non ci va da spettatore ma da “futurista”, o perlomeno è così che lo percepiamo. Paolo Pelliccia che corre a 130 chilometri orari sull’autostrada per Torino è in realtà, in questa occasione, una sassata nello stagno della cultura italiana. Con un botto che, secondo noi, finirà per sentirsi parecchio forte proprio lì da dove parte.

 

Tra le sue parole c’è quella certa raucedine che hanno gli incazzati. Quelli che vogliono venire fuori dalle macerie, che si sono elegantemente “rotti le palle” del provincialismo diffuso e dell’inconcludenza italiana. Lui, poi, porta con sé anche i valori della resistenza alla palude viterbese. Quella resistenza che in un certo senso ha nella biblioteca di viale Trento il suo quartier generale e il suo simbolo. Quando la si attraversa, quella masnada di scaffali e stanze rinnovate, si ha l’impressione di stare in una sorta di città liberata. Quindi le cose sono due: o Pelliccia è un prestigiatore, un pifferaio magico, o vede una rotta che altri non scorgono. 

 

Abbiamo letto questo manifesto che verrà distribuito all’interno del festival torinese. Vi invitiamo a fare lo stesso. Chiediamo a Pelliccia a cosa serve. “A dire che bisogna affrontare l’asset della cultura in maniera strategica. Occorre ripensare l’intero comparto e capire una cosa fondamentale: investimenti in questo settore, che è poi legato fortemente al turismo, significano lavoro e crescita”, è la prima risposta. “C’è poi un senso particolare che tira in ballo Viterbo. Da umili bibliotecari di provincia facciamo sentire la nostra voce. Andiamo a dire in uno dei templi della cultura italiana che le cose non vanno bene, che la gente non legge e che questo è un danno per tutti. Andiamo quindi a proporre cosa fare in questo settore. E portiamo con noi, all’interno di un progetto concreto, anche delle prospettive solide per il capoluogo della Tuscia. Come la città della cultura dove oggi sono le caserme dei Vigili del Fuoco”.

 

Il viaggio di Pelliccia a Torino è quindi un messaggio al Paese ma di sicuro è una comunicazione interna, interna a Viterbo, ancora più forte. Effettivamente in questa città le cose non vanno bene affatto e la cultura anziché essere asset strategico è considerata “fiera”, “mercato”, “intrattenimento occasionale”, “specchietti per le allodole”, “clientelismo spiccio”. 

 

 

 

 

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