Michelangelo e la Crocifissione custodita a Viterbo: i due volti “olografici” di San Giovanni

Michelangelo e la Crocifissione custodita a Viterbo: i due volti “olografici” di San Giovanni

Homepage - In questa frase ci stanno due notizie enormi: la prima l'utilizzo di una tecnica mai usata prima all'epoca, la seconda il fatto che l’attribuzione della Crocifissione sia quasi definitivamente data al Buonarroti.

ADimensione Font+- Stampa

Michelangelo è l’autore della Crocifissione custodita al Colle del Duomo: a dimostrarlo una particolare tecnica assimilabile a quella utilizzata per le figure olografiche. In questa frase ci stanno due notizie enormi: la prima l’utilizzo di una tecnica mai usata prima all’epoca, la seconda il fatto che l’attribuzione della Crocifissione sia quasi definitivamente data al Buonarroti. Le scoperte sono state annunciate oggi pomeriggio presso l’aula magna dell’istituto Ruffini, già Convento di santa Caterina (riaperto oggi al pubblico da Egidio17 e Archeoares, alcuni anni dopo la “riscoperta” attuata da Quartieri dell’Arte) e dimora negli anni ’40 del ‘500 di Vittoria Colonna.

Prima di entrare nel merito dell’incontro però occorre una precisazione: la semplificazione con la definizione dell’olografia è la nostra e ci serve per farvi capire al meglio cosa è stato spiegato oggi nell’evento che ha dato, come prometteva, “risposte sconvolgenti”.

Una platea numerosa ha ascoltato le parole degli studiosi, moderati da Vincenzo Ceniti, Simona Rinaldi, Gianpaolo Serone, Elisabetta Gnignera, Claudia Pelosi e Antonio Rocca che ha concluso mettendo insieme i pezzi e mostrando il puzzle creatosi dal lavoro in squadra dei diversi attori. Rinaldi, Serone, Gnignera e Pelosi hanno infatti raccontato il proprio lavoro che ha fornito gli indizi fondamentali per arrivare alla tesi di cui vi abbiamo accennato. All’incontro sono intervenuti anche Francesco Aliperti di Archeoares, Santino Tosini della Diocesi di Viterbo e il vescovo Lino Fumagalli.

C’era chi ha avuto l’illuminazione, come Simona Rinaldi, del fatto che la tavoletta potesse essere di derivazione michelangiolesca; chi, come Gianmpaolo Serone, ha notato sullo sfondo della Crocifissione ci fossero Viterbo, il Bacucco e le cinque colonne finite oggi ad abbellire il centro cittadino; chi ha studiato gli abiti e i costumi disegnati inchiodando l’opera in un’epoca precisa, quella antecedente il 1560\1565 e legandola ai temi cari agli spirituali e a Vittoria Colonna (leggi “Il rosa del drappo del Cristo avvicina la Crocifissione a Michelangelo”) come Elisabetta Gnignera; chi infine, come Claudia Pelosi, mostrando gli studi portati avanti esponendo la tavoletta a diversi tipi di luce e scoprendo che i pigmenti dimostravano un’alta committenza e che sotto la presunta Maddalena alla sinistra del Cristo ci fosse un secondo volto.

A mettere insieme questi tasselli è stato Antonio Rocca, direttore artistico di Egidio17. “Nella storia i ricercatori che si sono imbattuti sulla Crocifissione si sono fermati davanti a troppe varianti inspiegate. Per noi invece queste varianti sono state un’occasione per approfondire”.

 

Michelangelo-rosa

 

La questione della salvezza

La Crocifissione custodita al Museo del Colle del Duomo sarebbe la testimonianza del messaggio, caro agli spirituali (ovvero il partito che voleva una pace con i Luterani e che venne poi sconfitto e annientato dall’Inquisizione guidata dal card. Carafa), della “salvezza per fede”. Una tesi che contrastava però con il dogma della Chiesa Cattolica della “salvezza in virtù delle opere”. Su questo punto Rocca ha spiegato come le differenti raffigurazioni dei due ladroni possano essere considerate la dimostrazione di una potenziale “salvezza per fede”. In particolare il ladrone alla destra del Cristo, al contrario di quello alla sinistra, accetta il sacrificio di Cristo e per questo è salvo. Una tesi, quella della “salvezza per fede” che fondamentalmente è quella portata avanti dal Beneficio di Cristo di Marcantonio Flaminio, testo considerato come un manifesto dagli spirituali e all’epoca ritenuto eretico.

 

La fattura dell’opera, buona o cattiva?

Una forte opposizione all’attribuzione a Michelangelo della Crocifissione arrivava dal fatto che alcuni tratti dell’opera non sembrassero di buona fattura. Secondo Rocca l’affermazione non avrebbe però un grande senso. “La stessa Vittoria Colonna (qui) scrive a Michelangelo riguardo una Crocifissione ricevuta quando lei stava a Viterbo. Vittoria Colonna scrive di non capire se l’opera l’avesse fatta Michelangelo o no”. All’epoca Michelangelo stava perdendo la vista e aveva delle difficoltà oggettive a dipingere ad olio. La cattiva fattura di alcuni tratti però è considerata una condizione sine qua non per l’attribuzione a Michelangelo, secondo Rocca. “La tavoletta doveva essere considerabile michelangiolesca, ma ci doveva essere una discrasia. Senza questa tavoletta e questi tratti dunque non si spiega la lettera di Vittoria Colonna e viceversa”. Vittoria Colonna infatti chiede “et però chiaritemi se questo è d`altri”, lasciando intendere che ci potesse essere qualche elemento che non potesse essere riconducibile alla mano di Michelangelo. Appunto quelle discrasie di cui parla Rocca.

 

Gif-Crocifissione-Maddalena

 

La figura olografica di Michelangelo, i due volti in uno.

Inciso: negli anni nei quali si collocherebbe la realizzazione della Crocifissione, mentre è a Viterbo Vittoria Colonna aveva chiesto in prestito a Reginald Pole un vetro\lente, per poterla prestare a Michelangelo, che stava dipingendo a Roma la Conversione di San Paolo. Fine dell’inciso.

Gli studi, con l’esposizione in fluorescenza su quella che sembra essere la Maddalena, che poi però diventa San Giovanni, ai piedi alla sinistra del Cristo in croce, mostrano un volto nascosto. Un doppio volto, che passando da una all’altra immagine (con l’ausilio oggi della fluorescenza ed allora del vetro e di una luce con particolare angolazione) pare muoversi. “C’è l’illusione di un movimento” spiega Rocca. I due volti nascosti sotto l’unico personaggio sono in effetti molto diversi tra loro. Anche qui, per l’attribuzione dell’opera a Michelangelo, torna in aiuto la lettera che gli scrisse Vittoria Colonna. “In caso che non sia vostro et vogliate farlo fare a quel vostro, ci parlaremo prima, perché cognoscendo io la dificultà che ce è di imitarlo, più presto mi resolvo che colui faccia un`altra cosa che questa”. In pratica Vittoria Colonna diceva a Michelangelo che se l’opera non fosse stata fatta dal suo aiutante, non varrebbe la pena farlo provare “vista la difficoltà che ci sarebbe di imitarla”. Come se, di fatto, la tecnica utilizzata fosse troppo difficile da replicare. Infine Vittoria Colonna chiude la lettera dicendo di aver visto “al lume et col vetro et col specchio” la tavoletta e di “non aver visto mai la più finita cosa”. Insomma, non aveva mai visto questa tecnica che con quel vetro e quella luce ad una certa angolazione, permettevano di vedere il secondo volto. Un po’, banalizzando, come le figurine olografiche che andavano tanto di moda tra gli anni ’80 e ’90 del ‘900. “Questa – ha concluso Rocca – è l’unica spiegazione coerente”.

 

Ed ora?
Gli studi non si fermeranno qui perché c’è probabilmente ci sarà ancora da lavorare. Quella di oggi di fatto è la vittoria del lavoro di squadra al quale hanno lavorato soggetti diversi, Archeoares ed Egidio17 insieme a Università della Tuscia, Polo museale del Colle del Duomo, Diocesi di Viterbo e Touring Club, e studiosi di discipline differenti. Una ricchezza ed un esempio che non devono essere dispersi. Unico assente il Comune di Viterbo che non figura tra le realtà che collaborano o sostengono la ricerca. E questo è scandalo.

 

Michelangelo

Foto Fisioterapy Center

Jooble La Fune