Matteo Giovannetti e quei pennelli che unirono Viterbo ad Avignone

Matteo Giovannetti e quei pennelli che unirono Viterbo ad Avignone

Homepage - A settecento anni circa di distanza l'arte del viterbese Matteo Giovannetti si presenta per fare un buon servizio a Viterbo. Gli affreschi che il concittadino pittore realizzò ad Avignone danno corpo al gemellaggio con la cittadina francese.

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giovennetti2Matteo Giovannetti, appuntatevi questo nome perché da adesso in poi ne sentiremo parlare a lungo. E’ lui il pittore viterbese chiamato nel Trecento ad affrescare il palazzo papale di Avignone.

E a distanza di circa 700 anni quei pennelli etruschi sembrano ritornare utili per la città di Viterbo.
Utili a riempire di senso e di azioni quel gemellaggio con Avignone che sembra in dirittura d’arrivo. Utile per una triangolazione interessante anche con la vicina Siena, ricca di pitture dell’epoca e pronta a imbastire una mostra sul genere.

Questa domenica vogliamo regalarvi un paio di foto che vengono proprio dalla Francia, e che raccontano l’arte di Giovannetti ad Avignone. Se volete vedere ciò che resta del suo lavoro nel capoluogo della Tuscia potete recarvi nella chiesa di Santa Maria Nuova. Un piccolo quadro è invece nelle disponibilità della Fondazione Carivit. Roba che magari potrebbe ritornare utile per allestire il Natale d’arte viterbese.

In quanti conoscono quel quadro? Ma torniamo a Giovannetti e alla sua storia, da una città papale all’altra. Fu allievo di un altro grande, Simone Martini, e morì proprio ad Avignone nel 1344. E’ considerato il tramite del giottismo d’impronta senese e maestro di quello stile noto come gotico internazionale.
Il pittore di Viterbo ebbe anche il merito d’inserire, nel corpo dei suoi affreschi, uno dei primi esempi di pittura profana con le scene di caccia e di pesca della cosiddetta Camera del cervo. Il cambio di registro fu applicato anche nei suoi cicli d’affreschi con le scene della Vita di San Marziale nella cappella omonima del palazzo papale, dove accanto alle scene di carattere sacro inserì degli elementi naturalistici come i tralci di vite per suggerire un pergolato che sostituirono i fondi dorati o i cieli stellati della tradizione giottesca e la riappropriazione dei modelli tardo antichi scomparsi dopo l’arrivo dello stile bizantino.

Giovannetti, oltre la Camera del cervo e la Cappella di San Marziale affrescò nel palazzo avignonese anche la Cappella di San Giovanni Battista, la Cappella di San Michele e la Sala dell’Udienza. Nella Certosa di Villenueve, sempre presso Avignone, sono rimasti gli affreschi per la cappella voluti da papa Urbano IV.

Gran parte del suo lavoro è andata perduta prevalentemente in seguito alle distruzioni causate dai soldati napoleonici. Legate all’avventura di Giovannetti in Francia anche le vite di diversi suoi aiutanti. Anche questi viterbesi, che portò con sé per impastare i colori e farsi aiutare nel lavoro presso Avignone. Ragione per cui, se si va a spulciare l’elenco del telefono della cittadina francese, non è così raro trovare cognomi viterbesi. Magari francesizzati. Un gemellaggio tra le due città quindi ci riporterebbe a essere più vicini anche con viterbesi di antica origine, partiti nel Trecento alla volta della Francia.

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