L’assessorato alla Cultura è nudo. Il rossore del caso Tuscia in jazz

L’assessorato alla Cultura è nudo. Il rossore del caso Tuscia in jazz

Editoriali - Forse sbagliamo noi ma l'immagine che viene fuori del Comune non è entusiasmante. E questo è un danno per tutti i cittadini. Delli Iaconi si prenda qualche tempo per meditare su queste domande e rispondere. Questo giornale è a disposizione per un confronto serio e sereno.

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Caso Tuscia in Jazz, Antonio Delli Iaconi ha ragione. A Italo Leali non va dato nemmeno un euro spaccato dei 14mila che chiede, non ci sono le carte. Un bravo amministratore fa di questo, rispetta le regole e le norme e le carte. Ma un bravo amministratore fa anche altro, un bravo assessore alla Cultura ha il dovere di fare altro.

Perché anche Leali ha ragione ed è incazzato, ci sia concesso di utilizzare questa parola così colorita ma anche efficace. Ha realizzato iniziative di cui aveva parlato con Delli Iaconi. Non le ha messe in scena nello scantinato di casa sua. Non sappiamo neanche se ha o meno lo scantinato, ma tutti gli appassionati di musica ce l’hanno e quindi per deduzione facciamo conto che lo abbia. O forse lo aveva perché per Leali è arrivato il momento di venderlo e rientrare così dei 14mila euro di cui è rimasto scoperto.

Il Tuscia in Jazz è andato nelle piazze viterbesi e agli Almadiani e ci è andato chiedendo permessi al Comune e ottenendoli. Lo ha fatto perché anche Delli Iaconi sapeva ed era d’accordo. L’assessore è stato anche presente, a partire dalla conferenza stampa in cui in buona sostanza dichiara di “sperare di dare un contributo pari all’edizione dell’anno precedente”. Una speranza evidentemente andata a vuoto, può succedere. E Italo Leali, che ha fatto iniziative confidando nelle speranze di Delli Iaconi, deve rassegnarsi. 

Ma il fatto non può scivolare via così, con Leali rassegnato e Delli Iaconi in posa “pilatesca”. Non va bene e soprattutto non ci sembra un giusto modo di amministrare il delicatissimo settore cultura. 

Può un assessorato alla Cultura promettere e non mantenere? Può in qualche modo essere in parola con un festival, il video della conferenza stampa dimostra questo, e poi lavarsene le mani? Possono i festival o gli operatori culturali viterbesi essere ridotti al rango di “questuanti” a cui non resta altro che pregare affinché le speranze di un assessore trovino riscontri monetari adeguati?

In una città ridicola questo sarebbe possibile e forse anche all’ordine del giorno. Ma vuole Viterbo e vogliono i viterbesi essere così? Un po’ naif e campati in aria? 

Perché l’amministrazione comunale si rifiuta di strutturare in maniera seria il settore cultura? Perché l’istituzione della consulta è così osteggiata? Perché c’è un grande caos dove non si capisce più come funzione il sistema? Perché ci si sente dire, e Delli Iaconi l’ha fatto spesso, cose del tipo “è la politica che decide” o “il Comune non è un bancomat”? Cosa decide questa politica che si affida alle speranze? E a chi giova esporre il Comune, come istituzione di tutti, a queste figure imbarazzanti? 

Infine la domanda delle domande: ma non conviene lavorare alla costruzione di un sistema di distribuzione dei fondi con regole certe? A un sistema che possa permettere agli operatori di capire come funzionano i finanziamenti comunali? Alla determinazione di un modo più degno di fare le cose?

Forse sbagliamo noi ma l’immagine che viene fuori del Comune non è entusiasmante. E questo è un danno per tutti i cittadini. Delli Iaconi si prenda qualche tempo per meditare su queste domande e rispondere. Questo giornale è a disposizione per un confronto serio e sereno.

 

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