Il Sestante – Perché dobbiamo difendere la legge sulla Rete dei Cammini della Regione Lazio.

Il Sestante – Perché dobbiamo difendere la legge sulla Rete dei Cammini della Regione Lazio.

Homepage - Oggi voglio raccontarvi una storia che parte da lontano, nientemeno che dall'Antica Roma, per poi passare al Medioevo e, infine, giungere fino a noi, in particolare, grazie a una legge recentemente approvata dalla Regione Lazio.

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Oggi voglio raccontarvi una storia che parte da lontano, nientemeno che dall’Antica Roma, per poi passare al Medioevo e, infine, giungere fino a noi, in particolare, grazie a una legge recentemente approvata dalla Regione Lazio.

La storia è quella ormai millenaria delle strade storiche che attraversano il nostro territorio, dalle mitiche via consolari su cui incedevano le “caligae” dei legionari romani, fino ai grandi itinerari della Fede battuti dai pellegrini medievali sulle tracce dei Santi e della Salvezza eterna. Infondo, si può dire che l’intera storia dell’umanità si è sviluppata lungo un sentiero trafficato in cui, dietro al soldato o al fedele, viaggiavano anche funzionari, mercanti, artisti, esuli e, insieme a loro, tante idee che avvicinavano i puntini sulla mappa perché, alla lunga, sia i diversi luoghi che le differenti persone ne uscivano reciprocamente arricchiti, tanto sul piano economico quanto su quello culturale.

Insomma, diventa scontato concludere che proprio tali strade e itinerari incarnino nella sua forma massima la nozione di “bene culturale”, inteso come qualsiasi “testimonianza” del passato avente “valore di civiltà”, secondo la concezione fatta propria già dalla Commissione Frenceschini negli anni ’60: una ragione, quella della salvaguardia di un patrimonio non solo nazionale ma appartenente a tutti i popoli, la quale sarebbe già di per sé sufficiente a investirci della missione morale di preservare detto lascito per consegnarlo anche alle future generazioni. D’altro canto, oggi sappiamo che questi beni (nel nostro caso, questi percorsi) consegnatici dalle generazioni avite possono rappresentare molto più che “testimonianze” del passato, in quanto quel passato ancora ammalia e affascina, richiamando a sé quanti avvertono che la storia di ieri non è mai del tutto scomparsa ma è sopravvissuta nel nostro immaginario collettivo, come retaggio di ciò che eravamo. Pertanto, non sorprende che la manutenzione, la gestione e la valorizzazione di tale eredità debbano rappresentare delle finalità prioritarie per la Repubblica, non solo nella prospettiva dell’Art. 9 della Costituzione (recante in nuce il principio della tutela dei beni culturali, paesaggistici e ambientali), bensì, anche nella prospettiva della crescita economica e occupazionale, nazionale e locale (tramite investimenti intelligenti che, in sinergia con l’imperativo della tutela dei beni culturali e ambientali, in aggiunta, facciano di questi ultimi dei fattori di sviluppo turistico ed escursionistico).

Sennonché, capita spesso che la Repubblica non sia in grado di perseguire armonicamente tutte le finalità sopra ricordate perché, nell’odierno intreccio delle competenze delineato dal famigerato Titolo V, alcune di queste sono di spettanza esclusiva dello Stato (ad es., la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”), altre sono di spettanza esclusiva delle Regioni (ad es., il turismo) e altre ancora sono di competenza concorrente (nel senso che lo Stato detta le disposizioni di principio nel cui quadro le Regioni definiscono le norme di dettaglio, come ad es. in tema di “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”). Come si vede, quindi, non sempre è facile capire chi debba fare cosa (anche per l’obiettiva difficoltà di distinguere i confini tra competenze statali esclusive come quella in tema di “tutela dei beni culturali e ambientali” e competenze concorrenti come “la valorizzazione e la promozione” dei medesimi beni), ma si può uscire da questo labirinto normativo partendo dal rilievo di alcuni osservatori: quello per cui la Regione è un ente di promozione e sostegno dei distretti industriali ed economici di ambito regionale (così l’attuale giudice della Consulta Augusto Barbera quando era membro della Commissione di esperti voluta dal Governo Letta nel 2013), con la conseguenza che tale ente, nel perseguimento delle finalità appena indicate (e soprattutto quelle volte a rafforzare il turismo), può certamente concorrere con lo Stato nella valorizzazione dei beni culturali e ambientali nella misura in cui ciò possa fare da volano per lo sviluppo territoriale.

Ebbene, è stato in questa prospettiva che, nel Lazio, si è di recente assistito all’approvazione della legge regionale 10 marzo 2017 n. 2 (pubblicata il successivo 14 marzo ed entrata in vigore già il 15), la quale ha inteso dettare una disciplina organica per la “Rete dei Cammini della Regione Lazio” (RCL) e dei siti di pregio che sorgono lungo tali tracciati che, per quanto insistenti nel territorio regionale, si identificano con: i grandi itinerari culturali riconosciuti dal Consiglio d’Europa (come la nostra Via Francigena); i percorsi storici, religiosi, culturali e paesaggistici contemplati da leggi statali e regionali (e, in tal senso, proprio la legge regionale in commento ha riconosciuto il Cammino di San Benedetto, il Cammino di San Francesco nonché, con riferimento alla nostra Provincia, il Cammino della Luce-Via Amerina); le vie consolari che collegano Roma al territorio regionale (come Appia, Cassia, etc.); le mulattiere, i tratturi, i sentieri e le piste ciclabili costituenti il “patrimonio escursionistico” regionale; i percorsi nelle aree protette del Lazio. Nel dettaglio, la disciplina in oggetto mira a finanziare o co-finanziare (insieme ai Fondi strutturali europei) interventi di “manutenzione, gestione, promozione e valorizzazione” dei cammini anzidetti, ma coinvolgendo in ogni caso i territori dagli stessi attraversati: questo, grazie alla previsione di due organi istituiti presso l’Agenzia regionale per il turismo, come il “Forum per la RCL” (cui potranno registrarsi i sindaci dei Comuni interessati nonché gli enti pubblici e privati aventi quale fine statutario la valorizzazione dei cammini in parola, ai quali verranno attribuiti, tra gli altri, poteri di proposta degli interventi) oppure il “Coordinamento della RCL” (composto dall’Assessore e dai dirigenti regionali competenti, ma anche da tre rappresentanti delle aree protette regionali e da quattro rappresentanti del Forum per la RCL, ai quali competeranno significativi poteri come la predisposizione del “Documento di indirizzo regionale per la promozione e la valorizzazione della RCL”, che verrà poi approvato dalla Giunta e cui dovranno attenersi i piani annuali attuativi degli interventi).

Comunque, ci sarebbero tanti altri aspetti della legge che meriterebbero di essere ricordati, come il fatto di aver normativamente previsto la formazione dei “narratori di comunità”, però, l’aspetto che forse più di ogni altro merita qui di essere rimarcato riguarda la convergenza che tutte le forze politiche del Consiglio regionale hanno trovato su questo provvedimento: infatti, esso è stata approvato con il voto favorevole di tutti e 34 i presenti alla votazione (appartenenti alle fila sia del centro-sinistra che del centro-destra, come pure del M5S). Dunque, questa è una legge che è nata forte, perché coralmente avvertita come ragionevole, innovativa e necessaria: se vogliamo, una volta tanto, un esempio di “Regione che fa la Regione”, decidendo di fornire al proprio territorio uno strumento che potrebbe giocare un ruolo significativo nella promozione del mitologico sviluppo locale, il che, proprio attraverso la valorizzazione del patrimonio consegnatoci dai secoli andati.

Ciò posto, questa bella storia avrebbe potuto concludersi qui, se non fosse che la RCL, è proprio il caso di dirlo, ha finito con “l’incrociare la strada” del Governo Gentiloni che, nella seduta del Consiglio dei Ministri del 12 maggio scorso, ha deciso di impugnare la legge di fronte alla Corte costituzionale (tra l’altro, una decisione presa in extremis perché quello era il penultimo dei 60 giorni, dalla pubblicazione della legge, entro cui poter proporre ricorso). Comunque, per scendere un po’ nel dettaglio, il Dipartimento per gli Affari Regionali della Presidenza del Consiglio ha contestato alla Regione Lazio di violare la competenza esclusiva statale in materia di “tutela dell’ambiente”: infatti, siccome tra i corollari di quest’ultima competenza vi è ovviamente anche il potere dello Stato di regolamentare in via esclusiva i Parchi nazionali (e in via preponderante le stesse riserve naturali regionali), la legge sulla RCL avrebbe dovuto prevedere che ogni intervento effettuato su sentieri e percorsi che attraversano i medesimi Parchi dovesse avvenire nel rispetto del Piano e del Regolamento dei singoli Parchi (e senza spogliare gli enti di gestione di questi ultimi dei poteri loro riconosciuti dalla disciplina statale).

Ora, a un primo sguardo, sembrerebbe una critica ragionevole, se solo non fosse per il piccolo particolare che la la legge sulla RCL prevede fin dal suo art. 1 che le disposizioni da essa recate operino “nel rispetto della normativa statale” (concetto poi ulteriormente ripreso anche negli artt. 5 e 11). Quindi, è evidente che essa non avrebbe affatto interferito con la normativa statale sui Parchi. Sarebbe stato possibile scriverlo più specificamente? Magari sì, e forse su questo potrebbe concordare anche la Corte costituzionale (tendenzialmente incline a dare ragione allo Stato in questo genere di ricorsi). Però, rimane il fatto che l’impugnativa proposta, che per fortuna non demolisce l’impianto complessivo della legge, non solo probabilmente non era necessaria ma, in aggiunta, avrà quasi certamente l’effetto di rallentare l’attuazione degli interventi a favore della RCL. Senza contare che il timore di una declaratoria di incostituzionalità potrebbe spingere il legislatore regionale, onde evitare che si arrivi a una pronuncia della Corte, a modificare in fretta e furia le norme impugnate e, magari, a farlo in senso peggiorativo rispetto all’attuale quadro.

Per questo, l’auspicio che oggi sento di rivolgere a tutte quelle forze che, trasversalmente e con convinzione, hanno appoggiato la legge sulla RCL, è quello di non abbandonare il cammino intrapreso e di difendere, anche davanti alla Consulta se necessario, un provvedimento che, pur rappresentando solo un inizio, finalmente dà un senso a una delle missioni dell’ente Regione: quella di fare del nostro passato la nostra ricchezza, morale e materiale.

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