Il “lancio su Vallebona”, il consigliere Volpi difende l’idea di una targa a Grotte

Il “lancio su Vallebona”, il consigliere Volpi difende l’idea di una targa a Grotte

Homepage - La storia del "lancio su Vallebona" e l'idea di posizionare una targa ricordo, in onore di quei viterbesi che rischiarono la vita per nascondere i soldati americani paracadutati nel Grottano, sta facendo molto parlare di sé. Scrive a La Fune il consigliere Marco Volpi, che offre anche un ricordo di famiglia su quei giorni.

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La storia del “lancio su Vallebona” sta facendo molto parlare di sé tra la gente di Grotte Santo Stefano. L’abbiamo riportata alla luce grazie a un prezioso lavoro svolto da un appassionato di storia e di storie di Bolsena, nel cui lago è sprofondata la “fortezza volante” che portava dentro di sé i soldati americani paracadutatisi sul cielo della piccola frazione della Tuscia.

L’idea, lanciata dalla nostra redazione, di ricordare il comportamento di chi, sfidando il rischio di essere passati per i mitra dai tedeschi nascose quei soldati, con una targa ha avuto successo e a breve la vedremo posizionata. C’è la volontà, da parte di chi si sta occupando della vicenda, di posizionarla sul muro dell’ex municipio di Grotte Santo Stefano. Idea che non ci convince molto, ritenendo più opportuno ricordare il “lancio su Vallebona” con una targa da mettere proprio a Vallebona. Sulla questione ci scrive il consigliere comunale grottano Marco Volpi. Riportiamo la sua lettera, rilanciando. Per quanto ci riguarda nessun problema a posizionare la targa a Grotte ma sarebbe bello pensare di collocarne una anche nella piccolissima sub frazione. Si parla di un costo aggiuntivo ridicolo e di un segnale di considerazione importante.

 

La lettera di Marco Volpi

Cari Funaioli, è merito del vostro giornale l’aver dato risalto a un evento accaduto nel nostro territorio durante il terribile periodo bellico della seconda guerra mondiale; i vostri articoli, con la vostra pungente sollecitazione per ricordarlo, si sono intrecciati nel tempo con il fondamentale incontro tra uno degli autori del libro “Oltre il lago”, ricostruzione storica dei fatti accaduti in quel periodo sul nostro territorio, Mario Di Sorte e Biagio Stefani, nipote di uno dei protagonisti italiani, di grande aiuto nella ricerca operata dagli autori.

Altri incontri sono poi avvenuti con Mario ed i familiari di quelle donne, uomini e ragazzi che tanto si adoperarono per aiutare tutti i combattenti alleati che chiesero loro aiuto; questi confronti, anche con ulteriore verifica storica sui ricordi dei familiari, hanno portato alla scelta di celebrare non solo un fatto ma le persone, non solo il luogo ma il territorio, non solo un ricordo ma l’inizio di un confronto tra generazioni, tra i ragazzi di allora ed ragazzi di oggi; iniziando con una targa che ricordi chi in quei momenti bui con la sua umanità sconfisse l’indifferenza.

La targa, della discordia secondo il vostro articolo, proprio su indicazione dei familiari, si è deciso di apporla sul muro del Palazzo dell’ex-Comune, nella piazza principale del nostro paese.

Perché a Grotte? Perché quelle donne, uomini e ragazzi erano di Grotte, di Magugnano e di Vallebona, erano di questo territorio; perché Grotte che è il centro di questo territorio, e il centro e il cuore di Grotte è il Palazzo del Comune; ex-Comune, altro lascito del periodo fascista, quando si smembrano i territori per far capoluogo una città.  Se a qualcuno disturba che questa targa venga apposta a Grotte lo dica chiaramente, non è il vostro caso, visto che avete posto il problema; facciano sapere su quale muro vogliono affiggerla ed il perché.

Cari Funaioli, sperando di aver sciolto questo nodo da altri intricato, vi lascio i ricordi di quel periodo di una persona a me cara, i giorni forse erano quelli, i luoghi sicuramente diversi da quelli narrati, ma l’animo era lo stesso ed è quello che vogliamo e dobbiamo ricordare: “.. scambiarono la sicurezza del non agire con il probabile rischio di morte per mano dei nazisti prestando aiuto agli Alleati …” (dalla prefazione del libro “Oltre il lago” di Mario Di Sorte).
Il grottano Marco Volpi
Un ricordo di quei giorni, custodito dalla famiglia Volpi

Un giorno, come avveniva ogni giorno, apparve in cielo con il suo solito rumore assordante e tenebroso, una enorme formazione di fortezze volanti, provenienti dalla direzione della città, e anche questa volta, passando sulle nostre teste, per qualche secondo causarono lo stesso fenomeno, dell’effetto nuvola, e cioè, dell’oscuramento del sole.

Osservando attentamente quel gruppo di mostri volanti, non tanto per quell’effetto nuvola a noi ormai familiare, ma soprattutto, per una cosa assolutamente strana, anomala ed eccezionale. Tra quelle decine di giganteschi aerei, risaltava agli occhi di tutti, uno di questi, per una sua strana particolarità.

Lasciava dietro di sè una lunga e corposa scia di fumo nero e per il suo procedere molto più lento e irregolare, continuava a distaccarsi gradualmente dall’intera formazione. Quell’enorme gigante dell’aria, come abbandonato a se stesso, espulse improvvisamente dal suo corpo, quattro puntini oscuri, modificati in pochi secondi, in quattro visibilissimi grandi ombrelloni bianchi, avendo ciascuno alla sua base, un uomo penzolante. Quell’aereo colpito dalla contraerea tedesca, aveva partorito quattro paracadutisti che, nella loro lenta e ondulante discesa, condizionati da diverse correnti d’aria, tendevano, sempre più, ad allontanarsi l’uno dall’altro, finché, non riuscirono a prendere terra, in quattro punti molto distanti tra di loro.

Uno di quei candidi ombrelloni, dalla direzione che stava prendendo, sembrava dovesse planare proprio vicino alla nostra grotta ma, improvvisamente, forse per una folata di vento, ha cambiato direzione e, in pochi secondi, appena l’uomo toccò terra, sulla collina che era di fronte a noi, il paracadute si sgonfiò e si afflosciò al suolo. La nostra comunità di rifugiati, era rimasta così sorpresa, attonita, affascinata e coinvolta da tale insolito spettacolo, da non accorgersi, dell’improvviso e silenzioso allontanamento di mio padre e dello zio Carlo. Prima ancora dell’atterraggio di quel paracadutista, si erano entrambi e in perfetta sintonia, diretti verso quel luogo. Appena giunti, si trovarono a parlare con altri uomini, arrivati lì da direzioni diverse. Osservando dalla nostra piazzetta, si riuscì a comprendere molto bene che, quel gruppo di persone, aveva trovato un perfetto accordo perché, con un notevole afflato, si divisero in due tronconi, ognuno di questi, aveva assegnati precisi compiti.

Un gruppetto prese per mano il paracadutista e di corsa si allontanarono nella direzione opposta alla nostra, gli altri, tra cui si trovavano mio padre e lo zio Carlo, raccolsero il paracadute, ammucchiandolo nel migliore dei modi e, ricoprendolo con una gran quantità di paglia, prelevata da un vicino pagliaio.

Terminato quel lavoro, il gruppo si disciolse e ognuno tornò ai propri rifugi, riuscendo a evitare di essere sorpresi dal camion tedesco, carico di soldati. I soldati si sguinzagliarono in tutte le direzioni, con gli elmetti in testa e con il mitra in mano. Alcuni di loro, affrontarono violentemente un contadino che stava pascolando una mandria di buoi, nella piana sovrastante i nostri rifugi e, con minacce verbali e puntandogli in faccia il mitra, pretendevano di sapere che fine avesse fatto quel paracadutista.

Quel contadino, con le scarpe grosse e … tremando e balbettando terrorizzato, disse falsamente ai crucchi che lui, non aveva visto soltanto un soldato americano ma, ne aveva visti addirittura due. Spiegò loro, che quei terribili nemici, con i paracadute arrotolati tra le braccia, si erano diretti di corsa nella direzione in cui erano atterrati gli altri paracadutisti. Quel comandante, prese per buona la innocente e sincera dichiarazione di quel testimone con le scarpe molto grosse. Con ordini secchi e autoritari, radunò tutta la squadra e si allontanarono velocemente, con il camion nella direzione loro indicata.

Foto Fisioterapy Center

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