Il fuoco di Sant’Antonio del centrodestra

Il fuoco di Sant’Antonio del centrodestra

Editoriali -

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Brucia e si consuma, giorno dopo giorno. Questo il centrodestra viterbese, capace di costruire una vera e propria egemonia durata vent’anni e ora in palese disfacimento. Marcello Meroi è l’alfa e l’omega di tutto questo. Lui sindaco, successo al democristiano Giuseppe Fioroni, apre le danze negli anni ’90. Lui presidente della Provincia chiude il ballo con le dimissioni di queste ultime ore.

Gli rimane tempo fino al prossimo 2 febbraio per decidere se varcare o no il Rubicone. Dall’altra parte però non c’è Roma ma la fine di un percorso, la fine di un’intera classe politica. Con la Provincia di Viterbo cade l’ultimo baluardo del centrodestra sul capoluogo, poi sembrano esserci davanti cinque anni di attraversamento nel deserto. Salvo una oggi improbabile capitolazione anticipata di Leonardo Michelini.

La Caporetto del centrodestra locale non lascia intravedere all’orizzonte una Vittorio Veneto in provincia. La divisione e le faide intestine che stanno consumando Palazzo Gentili non lasciano presagire niente di buono per le prossime amministrative di primavera nella Tuscia. Divisi si perde, sempre. Tra “alfaniani”, “berlusconiani”, “fratelli d’Italia” e brandelli di Udc non sarà facile trovare la quadra, anche perché a ben guardare mancano gli uomini. Uomini nuovi, capaci di aggregare, di funzionare da collante tra le diverse sensibilità.

Il centrodestra viterbese è in mezzo al mare insomma e il suo peggiore nemico è proprio se stesso. Via Saffi docet.

 

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