Il Diritto di Sapere – Il testamento biologico in Italia

Il Diritto di Sapere – Il testamento biologico in Italia

Homepage - Il 14 dicembre è stato approvato dal Senato il testo di legge “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

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di Annalisa Arcangeli

 

Il 14 dicembre è stato approvato dal Senato il testo di legge “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

Si tratta di una serie di disposizioni normative riguardanti il consenso informato che il paziente rilascia al medico per essere sottoposto a trattamenti sanitari; la garanzia per il paziente (anche laddove rifiuti o revochi il consenso alle cure mediche) di ricevere adeguate cure palliative e la terapia del dolore; il c.d. divieto di accanimento terapeutico del medico; il rilascio del consenso informato nel caso in cui il paziente sia un minore di età o una persona incapace; l’introduzione delle disposizioni anticipate di trattamento (in sigla, le DAT; ovvero il c.d. testamento biologico).

Prima di giungere alla trattazione della seguente legge è importante chiarire che non è stata introdotta né l’eutanasia attiva né il suicidio medicalmente assistito. Ma cosa si intende con tali termini? Nell’eutanasia attiva è previsto che sia il medico ad effettuare la somministrare al paziente malato e sofferente del farmaco che lo condurrà alla morte. Mentre la morte mediante suicido assistito prevede che sia il paziente stesso ad assumere il farmaco preparato dal medico. Attualmente nel nostro Paese è riconosciuta solamente l’eutanasia passiva, quale conseguenza del riconoscimento del diritto al rifiuto delle cure mediche salvavita.

Ossia quelle cure che se prestate potrebbero evitare la morte o, più probabilmente, allungare la vita del paziente. Il nostro sistema giuridico ha fondato il rapporto medico-paziente sul rilascio del consenso informato di quest’ultimo per la sottoposizione a trattamenti terapeutici, quale requisito che legittima l’attività medica. In base alla legge approvata negli scorsi giorni dal Senato, è stato riconosciuto al paziente il diritto di disporre della propria vita attraverso il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico o i singoli atti dello stesso trattamento, come di poter revocare in qualsiasi momento il consenso
prestato alla sottoposizione al trattamento. Il paziente può in qualsiasi momento modificare la propria volontà circa la sua sottoposizione a trattamenti sanitari.

Uno dei passaggi più importanti della legge è quello riguardante il riconoscimento della qualifica di trattamento sanitario alla nutrizione ed idratazione artificiali, in quanto somministrati al paziente mediante dispositivi medici. Si tratta di una parte che ricalca quanto affermato dalla Corte di Cassazione circa la vicenda di Eluana Englaro, per la quale si era posta la questione se la nutrizione e l’idratazione artificiali fossero o meno inquadrabili come trattamenti sanitari e di conseguenza rifiutabili da parte del paziente (nel caso specifico, però, il rifiuto veniva ricostruito
processualmente mediante le persone che ne avevano conosciuto la volontà).

Il criterio selettivo scelto dalla Suprema Corte fu quello della modalità con la quale viene effettuata l’ idratazione e
l’alimentazione, ossia che solamente le mani esperte quali quelle di un medico possono provvedervi. Infatti, è solo mediante l’applicazione di sondini naso-gastrici che è possibile nutrire ed idratare soggetti che si trovano nella impossibilità fisico-psichica di farlo autonomamente.

Il medico ha il dovere di alleviare le sofferenze del paziente, anche nell’eventualità in cui rifiuti o revochi il consenso alle cure mediche, garantendo al paziente la somministrazione della terapia del dolore e delle cure palliative previste dalla L. n. 38/2010. Per cure palliative si intende una serie di interventi terapeutici,diagnostici ed assistenziali, diretti alla cura attiva e totale del paziente al quale non risponde il trattamento specifico per la malattia, la cui evoluzione risulta inarrestabile e dall’esito infausto. Mentre per terapia del dolore si intende l’insieme dei trattamenti terapeutici di vario genere che vengono somministrati al paziente al fine di sopprimere e controllare il dolore.

Fino a giungere alla possibilità per il paziente affetto da malattia resistente ai trattamenti sanitari da cui derivi morte imminente di prestare il consenso affinché il medico possa applicare la sedazione palliativa profonda continua. In realtà su questa pratica la Legge n. 38 del 2010 non fa cenno ad una sua apposita definizione, il Comitato Nazionale per la Bioetica, il 26 gennaio 2016, ha tentato di darne una. Innanzitutto la pone all’interno delle cure palliative, quale pratica con la quale si riduce lo stato di coscienza del paziente fino ad annullarlo, al fine di alleviare i sintomi fisico-psichici derivanti dello stadio terminale della malattia.

L’art. 4 della Legge sul biotestamento rappresenta un punto di partenza, ma di certo non sufficiente, per tutti colore che si battono per il riconoscimento dell’eutanasia. Infatti si tratta della parte relativa alla disciplina sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), le quali possono essere redatte per atto pubblico o scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente all’ufficio dello stato civile del comune di residenza ed annotato in apposito registro oppure alle strutture sanitarie, nel caso in cui la Regione di residenza abbia adottato modalità informatiche di raccolta e gestione dei dati clinici riguardanti gli iscritti al SSN. Nel caso in cui il paziente non sia nelle condizioni fisiche per redigere le DAT nelle forme previste, è possibile esprimere le proprie volontà attraverso videoregistrazioni o altri dispositivi che gli consentano di comunicare.

I soggetti maggiorenni e capaci di intendere e di volere possono esporre nelle DAT le proprie volontà circa il sottoporsi o meno ad accertamenti e trattamenti sanitari, in vista di una possibile e futura incapacità di prestare o meno il consenso. Inoltre il disponente può nominare un fiduciario che lo rappresenti nelle relazioni con i medici e faccia le sue veci. È possibile per il medico disattendere le volontà espresse dal paziente nelle DAT se queste risultino incongrue alla situazione concreta in cui si trova lo stesso o se sussistono trattamenti e cure in grado di migliorare la salute del paziente le quali non erano previste nel momento in cui erano state redatte le DAT.

Le disposizioni anticipate di trattamento sono sempre revocabili o modificabili dalla persona nelle stesse forme previste per la loro redazione, nel caso in cui sopravvengano motivi urgenti che impedissero di revocare le DAT nelle forme di cui già è stato detto, la revoca può avvenire per dichiarazione verbale del paziente raccolta o videoregistrata dal medico ed alla presenza di due testimoni. È consentita anche la pianificazione delle cure condivisa tra il medico ed il paziente, al fine di prestare anticipatamente il consenso o meno da parte del malato in vista di una sua possibile
incapacità ad esprimere la volontà.

Tutto ciò non basta. Credo che sia doveroso per il legislatore affrontare più approfonditamente la questione del “fine vita”. Infatti, è opinabile la scelta di lasciare come unica via d’uscita da situazioni di sofferenza l’eutanasia passiva, la quale risulta essere la meno rispettosa della dignità umana. Inoltre, il nostro Stato dovrebbe investire più fondi nell’assistenza dei malati che se pur in condizioni tragiche hanno scelto di continuare a lottare. In sostanza, dovrebbe porre fine a questo limbo dantesco in cui sono stati rinchiusi i malati e le loro famiglie. Nell’impossibilità di scegliere di porre fine alle proprie sofferenze su territorio italiano e nella difficoltà di sopravvivere dignitosamente qualora abbiano scelto di vivere.

Foto Fisioterapy Center

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