Gloria, il diario della costruzione (giorno 20)

Gloria, il diario della costruzione (giorno 20)

Diario di Gloria - Il giorno più lungo, il giorno del montaggio della Macchina e della posa della santa raccontato dalle parole e dagli scatti di Bruno Pagnanelli.

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Ventesima pagina di ‘Momenti di Gloria’, il diario con cui Bruno Pagnanelli racconta con foto e parole quanto sta accadendo al cantiere della Edilnolo dove un giorno dopo l’altro sta prendendo forma la nuova Macchina di Santa Rosa.

Il diario di Bruno Pagnanelli

E’ freddo la mattina sulla Tuscanese, specie se sei in pantaloncini corti e sfrecci su un motorino alle 7,20. Il freddo è una pena premeditata: soffro adesso ma poi sarà caldo di nuovo.

Sono organizzato già da ieri sera, quando ho pianificato tutto ciò che pensavo potesse servire: numero di batterie, zaino, lenti, occhiali (ahimè), maglietta di ricambio, minimo peso addosso e sigarette. 

Appuntamento alle 7,30 per il caffè con Gabriele, mio mentore fotografico, ma soprattutto collega e fratello, quello che non ho mai avuto. “La sù regazza” come lo chiama mia moglie!

Mi saluta con uno sfottò: “come stai Dio caro?” mi fa il verso, lui friulano, a me viterbese e ogni volta lo fa con quel dialetto acquisito che sembra Celentano quando interpretava Serafino. Uno di Milano che parla in romanesco è pari ad un polentone che cerca di imitare il viterbese.

Arriviamo, sotto il sole del mattino, Loro sono già pronti al capannone, tutti. La Polizia Municipale con i lampeggianti accesi, moduli e base già caricati,ci danno una maglietta bianca della nostra taglia. Mi cambio al volo, pronto…

Al “pronti via”, sembra di assistere al momento in cui interrompi la fila di formiche che porta a un formicaio: ciò che era ordinato e tranquillo prima, diventa entropia vera, un rimescolamento organizzato di movimenti e di persone. Ognuno sale al suo posto, i vigili davanti, i camion in mezzo, e Stefano a piedi per l’attraversamento dei punti critici.

La fila delle auto di sfortunati guidatori subito dietro, con lo stress mitigato dalla visione in anteprima. Raffaele arriva pochi minuti dopo, di fronte all’Aeronautica, si spoglia in mezzo alla strada e si mette la maglietta, ridono e scherzano, abbracci. Ma non vorrei esser nella sua testa, come non vorrei essere nei panni di Vincenzo, il “principà” come lo chiamano i suoi..

Arrivare a San Sisto è un’impresa, fra un paio di tamponamenti di curiosi nell’opposto senso di marcia (d’altronde se vai a mille dove il limite è a 50 è inutile bestemmiare poi..) e gli ostacoli alle misure di Gloria.

Un percorso fra la città fatta di merli e mura e di persone che si fermano, che osservano, che ammirano. Tu cammini in mezzo alle parole degli altri. Scopri cosa significa l’ammirazione discreta.
Il bianco della struttura, sotto il sole pieno del mattino, crea forme e ombre durissime.

Arriviamo a San Sisto in circa un’ora e mezzo, quanto basta per caricare la molla a chi dovrà fare cose nel poi.
Un’altra rimescolata alla fila verso il formicaio e questi uomini fanno entrare un numero incredibile di cose in una piazzetta che non mi era mai sembrata così grande.

Alla fine, fra equilibrismi con i camion e movimenti micrometrici ci entra tutto. Anche i viterbesi che vogliono vederla dal vivo.
Loro intanto, si muovono seguendo schemi sconosciuti, seguono ordini fatti da sillabe, da gesti, da occhiate. Sono carichi, hanno un’energia mai vista prima, almeno da me che li ho seguiti in questo ultimo mese.

Si vede subito che c’è bisogno di un bel respiro.
Coincide con un urlone di Alessio durante il posizionamento della base. Chiama una sola voce, una sola. Uno solo deve parlare.
Ordine ristabilito, energia ri-modulata. Anche perché ne servirà una quantità smisurata oggi. Si ripara con lo sfottò successivo fra Franco e Massimiliano che si sfidano su chi stringe prima i perni. Vince lo “straniero” toscano! Che smacco Franchì..

Ripara alla sconfitta, distribuisce sorrisi e abbracci.
Andrea, il gruista, è teso come una corda di violino. Lo capisco perché, dopo il posizionamento della base, mi vado a complimentare e lui mi confida le sue paure. 

Incredibile sentirlo dire da un ragazzone così.
Dice che non la conosce, non conosce i pesi, le reazioni.
Una sorta di terrore ancestrale, la paura di sbagliare, essere causa del fallimento del lavoro di tutti gli altri.
Gli potrei esser padre.

Gli dò un buffetto sul collo e gli dico che è un bamboccio.. “ci scrivi cò stà grù.. movete e stà tranquillo!!! lo sai fare.. “
Lo cercherò poi a ogni pezzo montato.
E alla fine il suo viso sarà quello che mi ritornerà più in mente.
Roberto, Franco e Massimiliano sono sulla struttura. Alessio e Stefano guidano le mani di Andrea con la gru. Gli altri slegano, spostano e organizzano i moduli in successione dai camion alla struttura.

Base e primo modulo fissati prima di pranzo.
Che finalmente arriva e serve a stemperare la tensione.
Ci invitano a pranzo con loro. E’ una sorta di rito che si ripete nel tempo, una trattoria nella via laterale, con la maniglia dell’ingresso che richiama la forma di una delle macchine di S. Rosa del passato.

Un pasto veloce che serve e aiuta a ricaricare le batterie, a prendersi un po’ in giro e a sfottere i toscani e i responsabili del ponteggio.
Già, il ponteggio. Per dirla alla casareccia, salire in alto su quel “coso” è un culo mostruoso, specie per chi ha attrezzatura e panza al seguito. Una sorta di ascensore per la meraviglia. Salgo tre volte non prima di aver fatto pipì tutte e tre le volte. Gabriele con me.
Sembriamo Gianni e Pinotto mentre gli operatori ci passano sui piani come frecce. Una sorta di fustigazione per l’autostima. Non fa nulla, proseguiamo.

Arriviamo in cima. Ulltimo modulo montato. Andrea si supera, la gru lo poggia a 25 metri di altezza. Roberto lo aspetta a braccia aperte, dopo aver fatto prendere aria anche a Franco da quel pozzo artesiano al contrario. Sono una macchietta insieme, seduti e imbragati su quel balcone sulla città.

E’ finita. Manca la Santa.
Arriverà dopo. Adesso c’è il tramonto. Il tempo di mangiare un pezzo di pizza fra la gente che arriva a San Sisto, di fare due chiacchiere con amici e perfetti sconosciuti. Un ragazzo di nome Francesco, fa il facchino, occhi azzurri come la terra dallo spazio, mi ferma in pizzeria. Ho l’impressione mi voglia rimproverare, invece si complimenta e mi dice che ciò che racconto lo fa entrare dentro la storia, fa capire il substrato, cosa c’è dietro. Mi emoziona, forse troppo.

Mi eclisso fra la gente, un bacio a mia moglie e poi di nuovo su, in cima. E’ una scelta forse dovuta dall’opportunità. Non capiterà tante altre volte nella vita e allora sfrutto il momento. Il resto sarà documentato da chi lo fa per mestiere.. Io voglio vedere quel simbolo arrivare sulla mia città. Siamo pochi sul traliccio e con la maglietta sudata, dopo la salita è un freddo boia.

La terza batteria mi molla poco prima che inizi tutto. Lo spettacolo è magnifico, incute timore. Santa Rosa arriva, sale, è sopra, è fissata. Scatto ciò che posso, con il buio e i fari contro. Per me che non uso flash è una vera impresa ma qualcosa esce.

Sotto si abbracciano, si salutano. Il grosso per loro è fatto. Adesso toccherà ad altri, a quei 100 cuori che erano già lì a guardare.
La giornata è finita. Il suono della gente arriva come sottofondo al fruscio della brezza e mentre la campana di San Sisto suona, rimango in cima un attimo, il tempo di raccogliere le cose, quanto basta per una sigaretta.

La città è bellissima, si vede tutta, Pianoscarano, il Duomo, la Trinità, San Francesco.

Inizio a scendere.
Dalla cima vedo la casa dei miei genitori.
Vorrei tu fossi qui con me papà, a vedere questa meraviglia.

Foto Fisioterapy Center

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