Federlazio, le imprese bacchettano la Regione e la politica

Federlazio, le imprese bacchettano la Regione e la politica

Homepage - Decisa accelerazione dell'export verso i Paesi extra Ue, ricorso meno marcato agli ammortizzatori sociali, occupazione stabile (ma si assume soprattutto a tempo determinato). Sono alcuni dei dati più significativi contenuti della consueta analisi congiunturale condotta da Federlazio su 250 aziende in tutta la regione (46 nella Tuscia). Con un attacco deciso alla Regione e alla politica, in genere, incapace di venire incontro davvero alle esigenze delle aziende

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Per comprendere la situazione economica nella Tuscia, bisognerebbe chiedersi (e rispondere) alla seguente domanda: perché in Italia il pil cresce meno dell’1% e in diversi altri Pesi europei si sfiora e certe volte si supera il 2%? Ecco, la sintesi della consueta indagine congiunturale di Federlazio, riferita al secondo semestre 2016, sta tutta in questo gap. Per i vertici dell’associazione datoriale viterbese (il presidente Gianni Calisti, il direttore Giuseppe Crea, il responsabile del settore sindacale Mario Adduci), lo scorso anno va definito “positivo”, mentre le prospettive per quello in corso sono “stabili, tendenti al bello”. L’analisi nuda e cruda delle risposte fornite da 350 aziende del Lazio (46 della Tuscia) al questionario che analizza la situazione delle piccole e medie imprese è la summa di tante potenzialità (in molti casi espresse anche a livelli elevati per qualità del prodotto e capacità di posizionamento sul mercato), ma anche la sintesi di numerose criticità che frenano sviluppo, crescita, innovazione e dunque limitano in maniera marcata la creazione di nuovi posti di lavoro. “Perché i tempi delle imprese – scandisce Calisti – sono molto più rapidi rispetto a quelli della burocrazia”. “E perché – si inserisce Crea – la politica non comprende e forse nemmeno conosce le vere esigenze dell’economia reale”.

In questo quadro, fatto come al solito di luci e qualche ombra, l’opinione degli imprenditori conta: sono loro che stanno sul territorio, sono loro che combattono quotidianamente mille battaglie contro ritardi, inefficienze, carenze e pastoie della macchina amministrative statale e delle sue emanazioni locali. Sono loro, in definitiva, quelli a cui si chiede di creare e dare lavoro. E allora che ne pensano? Per il 46,9% degli intervistati (rispetto al 44,4 della rilevazione precedente) “al momento non si intravede alcuna via d’uscita”; il 6,1 (rispetto allo zero precedente) ritiene che “il peggio deve ancora venire”; l’8,2% (percentuale dimezzata rispetto al 16,7 del primo semestre) pensa che “il peggio è ormai alle spalle”, mentre è stabile al 38,8 la percentuale di chi “comincia ad intravedere una luce in fondo al tunnel”. Ma allora come si spiega il giudizio positivo sulla seconda parte del 2016? “Col fatto che molte risposte – spiega il direttore Crea – sono state date verso la fine dell’anno scorso, in piena campagna elettorale per il referendum o nel mezzo della crisi di governo. L’instabilità politica ha avuto un peso importante nei ragionamenti degli industriali”. “Gli ultimi dati – interviene Calisti – confermano che il sistema della piccole e medie imprese della provincia di Viterbo continuano in un faticoso percorso di ripresa, lento ma costante”.

I risultati più significativi arrivano “da una decisa accelerazione dell’export verso i Paesi extra Ue” e da un ricorso meno marcato agli ammortizzatori sociali, cioè la cassa integrazione in tutte le sue declinazioni. “Rispetto ai due semestri precedenti – sottolinea Adduci – continua a diminuire la percentuale di imprese che ha richiesto la Cig: dal 15,6% del secondo semestre 2015 e dal 12,6 della prima parte del 2016, si passa al 10,3. Cala l’utilizzazione della Cassa integrazione ordinaria (da 81,3% all’attuale 60%), in leggero aumento quella in deroga (da 12,5 a 13,3), in deciso incremento quella straordinaria (dal 6,3 al 26,7)”.  E l’occupazione? Sostanzialmente stabile, con qualche elemento di speranza per l’immediato futuro: il dato che balza agli occhi è la crescita di assunzioni a tempo determinato  (42,8% rispetto al precedente 28,6), mentre scende dal 40% del primo semestre al 35,7% dei sei mesi seguenti la percentuali di assunzioni a tempo indeterminato. La motivazione è molto semplice: si è esaurita del tutto la spinta dovuta agli sgravi previsti dal Jobs Act.

Infine, polemica con la Regione per i fondi destinati alle imprese per il cosiddetto riposizionamento competitivo. Oltre 170 le proposte arrivate da tutto il Lazio, delle quali 39 dalla Tuscia. Ma nemmeno un centesimo (dei pur scarsi fondi messi a disposizione) sarà erogato per il credito agevolato. Perché? Perché nel bando emanato dalla Pisana si fa riferimento a tutto, ma non all’innovazione, al nuovo design, all’internazionalizzazione: esattamente quello che interessa alle imprese. “La politica è lontana, per non dire assente – conclude Gianni Calisti -. Non sanno quello che di cui le aziende hanno davvero bisogno. Ma noi abbiamo continuato ad investire perché le regole del mercato sono queste. Se dovessimo aspettare i soldi della Regione avremmo già chiuso”. E poi ci si chiede perché in Italia il Pil cresce appena dello 0,9%… Amen.

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