Faccia a faccia con i 120 rifugiati dello Sprar nella Tuscia

Faccia a faccia con i 120 rifugiati dello Sprar nella Tuscia

Storie - Il 20 giugno scorso si è celebrata in tutto il mondo la 14esima giornata del rifugiato. A Viterbo la festa è stata organizzata da Arci Solidarietà Onlus presso la Fattoria di Alice. Presenti i 126 rifugiati della Tuscia. Li abbiamo incontrati.

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Arrivo e quasi inciampo su un pallone che mi passa tra i piedi. Via dietro, ecco uno, due e tre bambini che corrono a recuperarlo. Poco più in là alcuni ragazzi si accalcano attorno a un calcio balilla sorridenti nonostante il caldo torrido. Le uniche imprecazioni che sento arrivano dall’interno della sala della Fattoria di Alice dove si sta allestendo il maxischermo per Italia-Costa Rica, la partita del mondiale che avrebbe dovuto lanciare la nazionale di calcio azzurra agli ottavi di finale. L’antenna non ne vuole sapere di funzionare e la proiezione della partita è a rischio. Se fossi finito lì per caso qualche giorno fa, non mi sarei mai immaginato di trovarmi in mezzo a persone che hanno passato l’inferno e che sono fuggite dai loro paesi per motivazioni religiose, politiche o etniche, spesso lasciando dietro i loro affetti, madri e padri il cui pensiero rimane ovviamente fisso in testa. “Siamo scappati dalle bombe. Per noi – mi dicono alcuni di loro – era difficile vivere nel nostro paese e le nostre famiglie sono ancora là”.

Il 20 giugno scorso si è celebrata in tutto il mondo la 14esima giornata del rifugiato, nata nel 2001 per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sofferenze degli esuli e sostenere gli sforzi delle organizzazioni impegnate nell’inserimento sociale di questa particolare categoria di migranti. Anche nella Tuscia, dove risiedono attualmente 126 rifugiati provenienti dai paesi più diversi, dall’Afghanistan alla Somalia, dal Pakistan al Senegal, era dunque una giornata di festa. A organizzarla è stata l’associazione Arci Solidarietà Onlus, che da oltre dieci anni coordina i progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), diretti da Alessandra Capo, nella provincia di Viterbo in partnership con i comuni di Oriolo Romano, Bassano Romano, Celleno, Orte, Acquapendente, Gallese, Corchiano e Viterbo. A lavorarci ci sono circa una quindicina di persone che si occupano di tutto il necessario. Dall’insegnamento della lingua italiana, all’assistenza legale. Dalla gestione di pratiche per l’assistenza sanitaria all’inserimento lavorativo tramite tirocinio.

“L’idea del progetto – spiega Attilio Tiso, uno degli operatori di Arci Solidarietà – è dargli degli strumenti per fargli capire come funziona la società italiana. Dal punto di vista sanitario e della funzione lavorativa”. Ma non tutto così lineare come sembra. “Le persone che entrano nello Sprar ci vengono inviate dal Ministero degli Interni con poco preavviso e soprattutto non tutte insieme. Quindi, ad esempio, i corsi di italiano devono essere continuamente rimodulati per rispondere alla esigenze di tutti”.

 

 

I progetti poi sono di diversa natura. Ci sono le famiglie, con tanto di bambini, ma anche i singoli rifugiati. “Non c’è una regola. Pure le storie di ciascuno di loro – prosegue Tiso – spesso sono differenti, ma io preferisco non chiedere nulla. Se vogliono sono loro a raccontarmi”. “Sono scappato in seguito a un attacco terroristico – spiega Rabeel, pakistano (nella foto sotto a destra) – ero già lontano da casa quando è successo perché avevo capito il pericolo e i miei hanno voluto che me ne andassi e così sono arrivato in Italia”. Ora Rabeel, dopo un tirocinio in una pizzeria di Viterbo, è però disoccupato.

Il tirocinio, oltre a insegnare il mestiere ai rifugiati, serve comunque anche per creare nuovi rapporti con le comunità nei quali si insediano. Comunità che li accolgono con atteggiamenti contrastanti. “A Celleno sono contentissimi dello Sprar – spiega Tiso – grazie a loro, tra l’altro, si è raggiunto un numero tale di bambini in paese da non far chiudere la scuola elementare”. Altrove invece ci sono situazioni leggermente più difficili, ma niente di che. “Stiamo bene nella Tuscia e i ragazzi dell’Arci sono bravissimi – confessano Fawad, Beshir e Saud, tutti e tre pakistani, tutti sotto i 30 anni –Stiamo bene in Italia anche se è difficile all’inizio creare dei rapporti. Gli italiani comunque sono brava gente e ci troviamo bene”.

“La cosa che ci preme – dice ancora l’operatore di Arci Solidarietà – è far capire che chi arriva in Italia ha un motivo reale per scappare”. Da inizio anno a Lampedusa sono arrivate circa 50.000 persone. “La gran parte di loro chiede un’assistenza umanitaria”. E i numeri, che a una prima lettura possono sembrare insostenibili, se contestualizzati, appaiono invece ridicoli. “Dalla Siria ad esempio – racconta l’operatore legale Lavinia Fantini – sono fuggite 3 milioni di persone. 2,7 milioni di queste ora sono rifugiate in Egitto e solo 100.000 in Europa. La Sierra Leone, per dire, ha 600mila richiedenti asilo, l’Italia ne ha 50mila”.

 

 

A creare confusione, poi, ci sono anche i nuovi accordi internazionali di Dublino secondo cui gli immigrati possono chiedere asilo, in Europa, solamente nel primo paese nel quale mettono piede. La normativa di fatto costringe, ad esempio, persone che stanno in Norvegia a tornare in Italia per effettuare le procedure. Un paese dove è difficile trovare lavoro. Una situazione potenzialmente esplosiva, ma, tornando a ciò che dicevo all’inizio, quel colpisce stando lì insieme a loro è la serenità con la quale sembrano affrontare tutto ciò.

“Non ci sono problemi particolari – spiega Tiso – normali screzi nella convivenza, niente di più e niente di meno di quel che facevamo noi quando condividevamo casa da studenti”. Quanto al lavoro in Italia non c’è nemmeno per loro, nonostante, tra l’altro, alcuni rifugiati arrivino anche con delle lauree in tasca. Non è difficile infatti incontrare ingegneri o esperti di computer. “Ma non è un problema – dice Silvana Brizi – alla fine si organizzano da soli. Alcuni partono e raggiungono persone che possono aiutarli, altri invece iniziano delle attività in proprio”. Come è successo recentemente con un rifugiato che ha aperto una rivendita di Kebab a Viterbo.

Finita la chiacchierata, nonostante la sconfitta dell’Italia, è poi iniziata la festa. Con piatti tipici, musica e il saluto sorridente di Omar (Senegal) che mi dice “auguri Italia”. Auguri a voi.

 

 

 le prime tre foto sono di Manuela Cannone

Foto Fisioterapy Center

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