Don Alceste Grandori, il San Francesco di Viterbo. Una mostra lo racconta a 40 anni dalla morte

Don Alceste Grandori, il San Francesco di Viterbo. Una mostra lo racconta a 40 anni dalla morte

Storie - Ci sono persone che sarebbe bene non dimenticare mai. Una di queste, per la città di Viterbo, è don Alceste Grandori. Personaggio di una statura quasi unica, certamente rara.

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Questa è una storia densa, di quelle che ti lasciano pensare. E’ stata scritta tra la gente da Don Alceste Grandori, sacerdote che ha lasciato segni profondi nella sua Viterbo. A quaranta anni dalla morte una mostra, ideata e realizzata da Agostino Garberoli, vuole rappresentare un omaggio e un ricordo del prete semplice che tanto ha dato. Per visitarla occorre recarsi al numero 21 di Corso Italia (h 10-13; 17-20).

 

Era ricco di famiglia don Alceste. Avete presente il palazzo più grande di piazza della Rocca? Era suo. Il padre, costruttore, aveva accumulato una grande fortuna. Un impero trasformato, giorno dopo giorno, in pane, vestiti, libri stampati, sport. “Al suo funerale, una metà marzo di quaranta anni fa, c’erano tutti”, ci raccontano. Abbiamo parlato con diversi viterbesi di don Alceste, tutti ci hanno raccontato di quel funerale a cui partecipò l’intera città di Viterbo.

 

Ha mosso i suoi passi in una città polverosa e difficile. In anni ancora peggio, i più terribili della storia recente.  Ha attraversato al fianco della sua gente il “Mattatoio ‘900’, dando conforto e speranza nei giorni oscuri di ben due guerre mondiali. E’ stato fondatore di due squadre sportive: la Robur e la Viterbium, capaci di successi regionali e nazionali nei primi decenni del secolo. Ha cresciuto e trasmesso valori positivi a intere generazioni di ragazzi, anche e soprattutto negli anni difficili del regime fascista. Parroco di San Leonardo mette in piedi i ritiri per i bambini della prima comunione di tutta la città. Fonda il Reparto Esploratori Cattolici e la ‘Fortitudo VT2’, che il fascismo vorrà sciogliere. 

 

Poi c’è un’intuizione geniale: la stampa. Mette in piedi una tipografia e pubblica libri: albi catechistici illustrati ma non solo. Viene da immaginarselo alle macchine, dove ha insegnato un mestiere a molti ragazzi che sono riusciti a mettere su famiglia anche grazie a lui. A Don Alceste si deve la restaurazione del santuario di santa Rosa degli anni Trenta e la copertura in piombo della cupola. Forse per questo, nel 1978, a quattro anni dalla sua morte i viterbesi, con grande partecipazione di popolo, spostano il corpo nella chiesa della patrona, proprio vicino all’urna della santa.

 

“Si è venduto tutto per i poveri della città”, con questa semplice frase ci parla di Grandori un signore anziano che incontriamo alla mostra.

 

 

 

 

 

 

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