Di Tuscia e di più- Pit stop a Vitorchiano

Di Tuscia e di più- Pit stop a Vitorchiano

Di Tuscia e di più - Le nostre passeggiate nei bei luoghi della Tuscia continuano e, questa settimana, ci fermiamo a Vitorchiano

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Prosegue il nostro viaggio in Tuscia e questa settimana andiamo a spasso per Vitorchiano, quello che io definisco “il paese con le radici di pietra”.

Come avrete notato, ho deciso di dedicare i primi articoli di questa rubrica ai borghi perché credo che siano la vera anima del nostro territorio, stelle fisse in un universo di bellezza e autenticità. Solo conoscendo queste piccole cornici storiche e paesaggistiche potremo comprendere le opere che vi sono all’interno, i dettagli che li rendono unici.

Da guida turistica come prima tappa scelgo sempre la sosta al Belvedere, situato lungo la SP23, perché si gode di un bel colpo d’occhio sul paese: pare che le case abbiano le gambe e i piedi affondino nel verde rigoglioso della forra che lo abbraccia. Stanno lì aggrappate da secoli, con le loro finestrelle piccole come occhi curiosi sulla storia che, nel frattempo, snocciola secoli di guerre e contese, distruzioni e ricostruzioni.

Poi basta volgere lo sguardo verso sinistra e appare maestoso un moai. No, non è un errore di battitura, ho scritto proprio “moai”. Ma che ci fa a Vitorchiano una di quelle gigantesche sculture tipiche dell’Isola di Pasqua? È frutto di un progetto voluto dalla trasmissione RAI Alla ricerca dell’arca che, nel 1990, decise di far realizzare il manufatto ad un gruppo di undici indigeni di Rapa Nui per promuovere il restauro degli originali che si stavano deteriorando: la scelta di Vitorchiano fu dettata dalla presenza abbondante di peperino che risulta simile alla pietra vulcanica dell’Isola di Pasqua e per questo gli scalpellini poterono eseguire tutte le tecniche tradizionali con asce e pietre.

A questo punto si può andare in paese, protetto verso sud dalle caratteristiche mura merlate: entrando da Porta Romana, ci si srotola davanti la via Arringa che conduce in Piazza Roma, la centrale e la più importante, dove in passato avvenivano gli arenghi, cioè le adunanze popolari. Tra un passo e l’altro è impossibile non notare la frequente sigla S.P.Q.R. associata alla Lupa Capitolina: è la testimonianza più forte della secolare fedeltà che, dal Duecento, Vitorchiano giurò a Roma e che determinò l’istituzione del corpo dei “Fedeli di Vitorchiano”, giovani del paese severamente selezionati che per secoli hanno fatto parte della Guardia Capitolina.

La fontana a fuso tipicamente viterbese si adagia ai piedi della Torre dell’Orologio che reca un’epigrafe assai curiosa: si tratta della trascrizione su pietra di un editto del 1320 che vietava la dimora in paese di omicidi e traditori. Ci s’inoltra nei vicoli silenziosi che si affacciano sul verde, nel cuore più antico del borgo, tra un trionfo di profferli fioriti e gatti sonnacchiosi, le signore che salutano sulla porta di casa e la vita che scorre tra le pieghe del bucato steso al sole. Si contempla il paesaggio selvaggio e possente, si sente il tempo che scivola lento tra i rintocchi della campana e poi si riaddormenta.

 

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