Cultura, Gian Maria Cervo: “Viterbo deve smetterla di sguazzare dentro il proprio piccolo acquario”

Cultura, Gian Maria Cervo: “Viterbo deve smetterla di sguazzare dentro il proprio piccolo acquario”

Politica - Sogna una città internazionale sul fronte della cultura, capace di avere un'identità e un ruolo. Per costruire tutto questo, secondo il direttore artistico di Quartieri dell'Arte, non occorre andare tanto lontano ma cercare nel passato di Viterbo.

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Gian Maria Cervo: “Viterbo deve smetterla di sguazzare dentro il proprio piccolo acquario. Inizi a pensare a scelte strategiche per vincere la sfida con la globalizzazione”. Le parole del direttore artistico di Quartieri dell’Arte sono di critica forte sul presente che la città dei papi vive ma anche di speranza per un futuro diverso, che comunque sembra essere a portata di mano.

Ferma nella sacca della crisi e di un ritardo che si è andato a cercare nei decenni il capoluogo della Tuscia è a un bivio: o trova un modo sensato di stare al mondo, e giocarsi quindi una partita di ripresa e sviluppo, o rimanere ripiegato su se stesso, e abbandonarsi allo spopolamento

Per avere un ruolo nel mondo di oggi occorre avere un’identità. Il senso di questa intervista con Cervo è finalizzato proprio a capire se Viterbo può vantarne una, e se sì quale. L’ideatore di QdA può darci spunti interessanti su questo tema, considerato il suo prestigio internazionale, le sue amicizie e contatti con drammaturghi e direttori di teatro di mezzo mondo e il suo continuo viaggiare: dall’Europa a Shangai, passando per tanti altri posti che della cultura stanno facendo un business.

 

L’INTERVISTA A GIAN MARIA CERVO

 

Fronte cultura, vale la pena spenderci più soldi? Viterbo ha delle potenzialità che possono dare ricchezza a questo territorio o meglio gettare la spugna su questo ring?

“Questa è una città strana dove tutto sembra essersi impaludato ma ha un dna, andato in pratica dimenticato, con tanti geni positivi. Se guardiamo la situazione attuale e come vengono messe a frutto le risorse destinate alla cultura è quasi scontato consigliare di abbandonare la partita. Se si continua su questa strada meglio lasciare perdere perché di fatto buttiamo soldi. Dall’altro lato però sono convinto che proprio dalla cultura, e da un investimento serio su questo comparto, può arrivare una svolta per l’intero territorio”.

 

Che fare?

“Innanzitutto smetterla di girare a vuoto come mosche dentro un barattolo. Serve una strategia, un progetto di sistema che punti a una cosa essenziale, oserei dire vitale: fare emergere l’identità di questo luogo e alcune sue vocazioni antiche che hanno saputo renderlo centrale in secoli ormai andati”.

 

Potrebbe essere meno ermetico?

“Viterbo ha un’antica vocazione inclusiva e internazionale. Penso agli spirituali, al ruolo che questa città ebbe nel Rinascimento. Una pagina fondamentale che il progetto ‘Egidio Diciassette’, recentemente annunciato con una conferenza stampa e di cui Quartieri dell’Arte fa parte, intende riportare alla luce. Dobbiamo recuperare un’idea di questa città lontana anni luce da quella che abbiamo oggi. Il capoluogo della Tuscia è stato luogo di fenomeni straordinari dal punto di vista della storia del pensiero, tipo la presenza degli spirituali appunto. Far riemergere queste cose significa riscattarsi da un cliché di oscurantismo medioevale e riportare alla luce il volto di una città all’avanguardia, rivoluzionaria e capace di inserirsi nel dibattito della contemporaneità. Quando penso a questo volto diverso di Viterbo mi viene in mente anche il 1462, quando la città divenne un grande teatro a cielo aperto per l’imponente macchina teatrale della processione del Corpus Domini voluta da Pio II”.

 

Ok, secondo lei quindi occorrerebbe in primis recuperare cosa siamo stati per scrollarci di dosso tante negatività e credere maggiormente in quello che possiamo fare? Come declinare questo volto riscoperto di Viterbo nel terzo millennio?

“Esattamente, è possibile fare della cultura la leva per risollevare il territorio. Per farlo però occorre ficcarsi in testa che non ci sono scorciatoie, sagre, festival con personaggi televisivi utili a mandare Viterbo in paradiso. Si tratta di roba buona per offrire un ristoro estivo alla popolazione locale, che pure è cosa positiva, ma fermarsi a questo significa rimanere nel vaso a fare le mosche. La strada dura e difficile, ma anche l’unica vera, per potercela fare, per fare della cultura un settore trainante dell’economia locale, si chiama “diventare eccellenza””.

 

Ritorno con la domanda di prima: che fare?

“Dare sostegno alle realtà che intendono praticare e costruire questo tipo di percorso. Al Comune consiglio di strutturarsi per gestire al meglio un simile processo che faccia rotta verso l’eccellenza. Così potremmo diventare un punto di riferimento in Europa e nel mondo. Occorre fare rete e liberare quante più sinergie possibile. Come Quartieri dell’Arte sono pronto a portare in città personalità di tanti Paesi europei. Questo significa far conoscere i prodotti d’eccellenza che abbiamo, far conoscere il territorio e da questo tipo di rapporti possono essere trovati investitori, anche in settori che non hanno a che vedere niente con la cultura. Quartieri dell’Arte non è l’unica realtà che può fare questo e non può comunque farlo da sola. Ci sono tante intelligenze, anche tra i giovani viterbesi, che rischiano di andare perse nell’attuale palude. Con il lasciar sfuggire il ‘Festival dei Due Mondi’, che aveva scelto Viterbo, abbiamo perso una grande occasione sul modello di cui stiamo parlando. Cerchiamo di non continuare a gettare via soldi su strade sbagliate, di non continuare a confondere professionisti della cultura con i dilettanti e di non scambiare gli interessi (anche legittimi) di qualcuno con gli interessi (bisogno di lavoro in primis) del territorio”.

 

 

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