Cosa hanno detto Antoniozzi, Cervo e Manganiello a Michelini

Cosa hanno detto Antoniozzi, Cervo e Manganiello a Michelini

Homepage - Cosa hanno detto gli operatori culturali e uomini di cultura presenti ieri al Consiglio comunale aperto dedicato alla gestione del Teatro dell’Unione

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Cosa hanno detto gli operatori culturali e uomini di cultura presenti ieri al Consiglio comunale aperto dedicato alla gestione del Teatro dell’Unione. Qui la cronaca del Consiglio comunale, a seguire gli interventi integrali dei non-politici intervenuti. Dal Consiglio è anche emerso che il Teatro non è completo al 100% e che servirà ancora un anno, almeno, per la riapertura definitiva. Sono intervenuti Gian Maria Cervo, Alfonso Antoniozzi e Paolo Manganiello.

 

• L’intervento di Gian Maria Cervo

• L’intervento di Alfonso Antoniozzi

• L’intervento di Paolo Manganiello

 

Gian Maria Cervo, direttore artistico di Quartieri dell’Arte

“La ristrutturazione è un atto fondante per un Teatro. Ci saremmo dovuti chiedere: come facciamo questo teatro? E invece vediamo l’orrore degli arredi scelti. La situazione non è migliore se pensiamo all’ipotesi di gestione della programmazione. È stato annunciato che sarà a gestirlo l’ATCL, che gestisce il circuito regionale. Un ente, che tra tutti gli enti, è l’unico che non ha alcuno interesse allo sviluppo sul territorio perché propone spettacoli in territori sguarniti di realtà teatrali. Qui ci sono realtà sviluppate, ci sono una serie di realtà teatrali sul territorio. E allora ci chiediamo perché si faccia una scelta di questo genere che è contro gli interessi delle realtà territoriali e contro la città.

L’Atcl ha interesse a che non esista uno sviluppo produttivo delle realtà teatrali locali. È contro gli interessi dell’Atcl e accenno al fatto anche che ha una pesante situazione debitoria nei confronti di molte realtà del territorio. Non c’è una realtà che non è creditore da anni e un’amministrazione ne dovrebbe tenerne conto.

La gestione affidata all’Atcl sarebbe una castrazione a livello di sviluppo teatrale e impedirebbe di fare una domanda connessa alle attività del Teatro dell’Unione. Affidandoci all’Atcl non si possono veicolare i fondi del Mibact e i fondi regionali, perché l’Atcl è già destinataria di fondi e questo è incompatibile con la possibilità di invio fondi a Viterbo per la produzione. Più volte ho detto che il passaggio del rilancio del Teatro sarebbe stato fondamentale per le politiche culturali della città.

Si pensa allo sviluppo tramite il Centro di produzione teatrale a qualcosa di trascendente. Ci sono centri più piccoli di Viterbo che lo hanno. Ci sono realtà come Viterbo che hanno addirittura T.r.i.c (Teatro di rilevante interesse culturale, ndr) o Teatri nazionali.

Un centro di produzione non è lontano dalle possibilità. Vederlo così è una visione provinciale di cui ci dobbiamo liberare. Se vogliamo andare Oltre le Mura, andiamoci davvero con le scelte giuste. Se non si fa il Centro di produzione, si faccia almeno una compagnia in residenza per chiedere fondi al Mibact. Se si fa, non vedo perché la programmazione del teatro non possa essere assegnata a quella realtà.

Non si capisce la ratio di questo intervento. Si è sentito di tutto. Ma quale direttore prende 50.000€ all’anno di compenso? Si è sentito dire che l’Atcl andava scelta perché aveva la biglietteria online. Una cosa che anche l’ultimo dei ragazzini può fare.

Vi chiedo umilmente di riconsiderare questa scelta che rasenta la follia e che va palesemente contro gli interessi della città. Vi ricordo che se le realtà culturali perdessero l’appuntamento con il Mibact per la produzione presso l’Unione, salterebbe il triennio e se ne riparlerebbe nel 2021.

Quel residuo di fiducia da parte di alcune realtà culturali facciate sì che non venga meno, riconsiderate questa scelta e operate nell’interesse della città”.

 

Alfonso Antoniozzi, cantante lirico e regista

“Sono sulla stessa linea di ciò che dice Gian Maria Cervo. Il teatro è un teatro se produce, come una cucina lo è se sforna piatti. Da anni abbiamo una cucina che non sforna piatti, ma che chiama ogni volta un servizio di catering. Immaginate una sala da pranzo senza cucina, che ha sempre ospitato catering. È bellissima, ma con la cultura dell’ospitata non crea niente, non crea conoscenza.
Il Teatro è una realtà produttiva, perché crea posti di lavoro. Un teatro che produce dà stipendio immediato ad attrezzisti, macchinisti, servizio ordine, scenografi, costumisti, sarte, parrucchieri.
Questo è un teatro, sennò è una sala e va bene anche il cinema Lux.

Se teatro non produce, dovete buttare 17mila euro (si riferisce al costo del concerto della Banda della Marina) perché dentro non c’è nulla. Non c’è una quadratura neri, non c’è un parco luci. Non riesco a immaginare che non si sia mai riusciti mai a comprare 50 luci e una quadratura neri. A Caprarola ce ne sono 20 comprati dal Comune. Sono soldi buttati, a qualcuno farà piacere, ma sono buttati.

L’Unione deve diventare centro di produzione, nell’immediato quello che suggerisce Gian Maria Cervo è il metodo più intelligente e veloce. Io auspico poi che si crei una Fondazione che liberi il Teatro dal Comune come succede anchee Milano con La Scala.

Voi avete richiesto il catering all’Atcl: non può includere le realtà locali, è un ente distributore non produttore. È la coop, prende da altri e mette sugli scaffali. Per legge non può produrre e non si può occupare di attività locali, non può. E lasciamo stare che c’hanno le pezze…

Mi sento di suggerire di abbandonare l’idea di buttare 50.000€ per finanziare una stagione portata da fuori. Se nessuno se ne cura e nessuno fa la manutenzione ordinaria, ogni 5 anni si fa una manutenzione straordinaria. Se sta aperto 10 giorni l’anno è così.

Il Comune dovrebbe pagare la luce, il telefono, la biglietteria. L’auspicio è che rimanga responsabile, ma che facendo una Fondazione del Teatro Unione, dopo questo triennio, poi saranno i soci a decidere. Ma non continuiamo a gettare soldi della collettività scambiando un eatro per una Sala che ospita spettacoli. Quei soldi è meglio che li stanziate per comprare dei proiettori e una quadratura neri.

Un teatro crea posti di lavoro e ha una funzione sociale. Deve fare 150 alzate di sipario l’anno, non 15. Le persone si sentono parte di qualcosa, deve diventare un punto di riferimento di attività amatoriali e professionali, come succede nei principali teatri comunali.

Con una direzione oculata, tra musica, compagnie professionali e amatoriali, con un cartellone concepito con un po’ di testa, si può fare. E in quelle 150 alzate ci sono viterbesi che costruiscono scene, che puliscono e che imparano un mestiere. Si possono anche attrarre fondi per la formazione dall’UE. Basta che un organismo terzo li organizzi. Lo fa Caffeina con il Teatro San Leonardo, perché non il Comune?

È una mentalità deleteria pensare di fare 10 alzate di sipario all’anno. Così non si forma il pubblico, non si crea cultura, non si crea occupazione”.

 

Paolo Manganiello, Astarte

“Al catering dell’Unione, in realtà si mangia cibo da fast food. Fare convenzioni e collaborazioni con degli enti che non fanno girare cose di qualità, fa diventare quella sala un posto nella quale si mangia pure roba cattiva. Non si condivide nulla, non c’è niente su chi riflettere. Diventa un fast food del teatro, dove si comprano prodotti fatti in serie e presentati al pubblico che è digiuno da anni e quindi è poco formato e ingoia tutto come se fosse roba buona.

Manca tutto, quello oggi è un grande capannone, non c’è niente e non ci si può fare niente. Almeno prima ci chiamavano per sapere cosa andava fatto.

Un ring sul palco è un’offesa alla nuova graticcia, alla possibilità di allestire il teatro e renderlo unico anche dal punto di vista tecnico. Non manca solo il teatro come edificio, ma manca l’esigenza del teatro. Bisogna far venire ai viterbesi la voglia, manca educazione al teatro. Serve sensibilizzazione che va fatta nelle scuole, nei laboratori.

Il teatro deve avere un coordinamento che si occupi della comunità, un movimento di operatori, di allievi di lab, di studenti, compagnie amatoriali, compagnie di comunità dove ci sono persone che fanno tutt’altro nella vita e che possono essere un bacino importante per creazione di un pubblico, che poi inizia a seguire, si può abbonare, parla e riporta quanto visto e ragiona. Ci sono anche i laboratori sociali per disabili e tossicodipendenti, per chi disagio mentale. Queste realtà vanno coinvolte, altrimenti come facciamo a formare un pubblico che possa sostenere queste esperienze?

Chi mi ha proceduto è in grado di farlo e la sensibilità per capire che si deve illuminare il teatro non dall’esterno, ma dall’interno con forze produttive interne. C’è chi lo fa al San Leonardo, ma è così difficile? Non abbiamo operatori sul territorio?”

 

Le risposte di Michelini qui.

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