Backstage – L’economia viterbese segna ancora il passo

Backstage – L’economia viterbese segna ancora il passo

Homepage - Le cose della Tuscia vanno piuttosto male. Inutile girarci intorno perché i dati del 18° Rapporto sull'economia della nostra terra, relativi al 2017, non consentono troppi voli pindarici. E lo hanno dovuto ammettere, nonostante i tentativi di ottimismo istituzionale, anche il presidente e il segretario generale della Camera di commercio che lo hanno illustrato

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Le cose della Tuscia vanno piuttosto male. Inutile girarci intorno perché i dati del 18° Rapporto sull’economia della nostra terra, relativi al 2017, non consentono troppi voli pindarici. E lo hanno dovuto ammettere, nonostante i tentativi di ottimismo istituzionale, anche il presidente e il segretario generale della Camera di commercio che lo hanno illustrato. Sia Domenico Merlani che Francesco Monzillo hanno nobilmente tentato di vedere il bicchiere mezzo pieno, indicando qualche spunto per essere ottimisti, ma la realtà dice in maniera chiara che il bicchiere è quasi vuoto.

Per esempio, nel periodo 2016-2017  il valore aggiunto (cioè la crescita di valore che si registra nell’ambito della produzione e distribuzione di beni e servizi) è aumentato in Italia e nel Lazio dell’1,9%; nel Viterbese si è fermato all’1,5%. E il valore aggiunto pro capite segnala differenze ancor più sostanziali: 25.500 euro è la media italiana, poco meno di 19mila nella Tuscia. Oltre 6mila euro di gap che pongono la Tuscia lontanissima dal Nord e molto più vicina alle regioni del Sud. Si devono registrare variazioni negative nelle esportazioni (-3,4%) soprattutto a causa delle perfomance di settori come agricoltura (-2,2), alimentare (-9,4) e tessile (-18) che in precedenza avevano dato un contributo sostanziale alla tenuta e alla crescita; si comporta bene invece il comparto ceramico che si segnala per un convincente +5%.

Si esporta di meno, ma si importa ancor meno:  -7,4%, a conferma di un basso livello di consumi interni. A fronte di un quadro macro-economico così complesso, anzi preoccupante, non è che ci si potevano aspettare performance di livello dall’occupazione: di fronte al 60,9% del Lazio e al 58% nazionale, da noi siamo al 56,3; mentre la disoccupazione da queste parti è al 13% (con particolari difficoltà tra le donne e i giovani), contro il 10,7 regionale e l’11,2 italiano. In particolare l’occupazione maschile (66,4%) supera di oltre 20 punti percentuali quella femminile (46,1), “frutto di un sistema – si legge nel Rapporto – che tende a sfavorire la componente femminile e che non incentiva, insieme ad altri fattori, l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro”.

Un altro tasso dolente è rappresentato dal credito. Sono aumentati i depositi del 6,6% (6,7 le famiglie; 2,9 le imprese), ma si sono ridotti gli impieghi in totale dello 0,4%. “La dinamica negativa – viene spiegato – ha caratterizzato il valore degli impieghi per le imprese (-2,2%) e gli altri settori (-106%), mentre si assiste ad un incremento per le famiglie nella misura del 2,7% rispetto al dato del 2016”. Peraltro prendere denaro in prestito (in ogni sua forma) costa molto più a Viterbo che nel resto d’Italia e questo costituisce “un elemento di svantaggio competitivo per le famiglie e le imprese che può penalizzare e disincentivare gli investimenti con effetti negativi in termini di ripresa economica e che può anche contribuire ad accrescere i livelli di insolvenza del sistema economico locale”.

La sintesi è molto semplice: “Alcuni fattori ala base di questo ritardo sono riconducibili alle caratteristiche e vocazioni del sistema produttivo locale, alla conformazione territoriale e urbanistica, alla dotazione infrastrutturale nonché alla localizzazione geografica”. Un’altra delle causa è la presenza di un sistema frammentato, costituito in larga misura da piccole e soprattutto micro imprese che evidentemente fanno fatica a farsi largo nel mercato italiano e internazionale e che spesso pensano più a farsi la guerra tra di loro.

I segnali positivi? Pochi. Il numero delle imprese è cresciuto dell’1,1% grazie ai buoni risultati di agricoltura, servizi di alloggio e ristorazione, commercio e servizi di informazione comunicazione; in difficoltà ancora manifatturiero (-0,2%) e costruzioni (-1,3%). Come se ne esce? Lavorando sull’innovazione, sulla sburocratizzazione, su un più facile acceso al credito, sulle infrastrutture (sia fisiche che telematiche), sulla capacità di fare rete, sulla qualità dei beni e dei servizi prodotti. La strada è lunga e tortuosa, ma altre soluzioni non ce ne sono e l’alternativa è una marginalizzazione ancor più marcata.

Foto Fisioterapy Center

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