Annio, quel gran falsario della storia di Viterbo. Dal fondatore Noè a Faul

Annio, quel gran falsario della storia di Viterbo. Dal fondatore Noè a Faul

Homepage - STORIE - Nella città dei papi c'è una via che lo ricorda, via Annio. Posta a metà di via Cavour va a collegare questa importante arteria cittadina alla parallela intitolata a Cardinal La Fontaine. Ma chi è Annio da Viterbo?

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STORIE – Nella città dei papi c’è una via che lo ricorda, via Annio. Posta a metà di via Cavour va a collegare questa importante arteria cittadina alla parallela intitolata a Cardinal La Fontaine. Ma chi è Annio da Viterbo?

Un personaggio molto particolare ed eccentrico, considerato alla sua epoca (siamo tra il Quattrocento e il Cinquecento) una sorta di “genialoide”. Dotato di una grande cultura umanistica ma anche di fantasia e furbizia Giovanni Nanni (questo il suo vero nome) inventò le origini mitiche della città papale, rispolverando Noè, gli Egizi e aprendo un lavoro di riscoperta e di interesse verso gli antichi etruschi.

La sua erudizione gli valse la simpatia e la protezione di diversi papi, in particolare Sisto Iv e Alessandro VI. Annio è conosciuto soprattutto per una raccolta intitolata in 17 volumi Antiquitatum variarum, nota anche come Antichità di Annio; vi sono contenuti scritti attribuiti ad autori molto antichi, come per esempio Berosso, Manetone, Megastene, Archiloco, Mirsilo di Metimna, Fabio Pittore, Catone, ecc. Sull’autenticità di questi scritti nacquero presto dubbi i quali furono poi confermati da Scaligero. Fu attivo, come falsario, anche in altri campi: a Viterbo si conservano anche alcune sue falsificazioni epigrafiche.

Fu Annio a riscrivere l’origine mitica di Viterbo, fino allora ritenuta opera di Ercole. Fu lui a tirare in ballo niente di meno che Noè, giunto nel futuro alto Lazio col nome di Vetumno (da cui il nome Viterbo).  È nelle “Antiquitates”, opera enciclopedica in sedici volumi,  che frate Annio espone questa tesi, avvalendosi di testi antichi in seguito ritenuti manipolati o addirittura falsi e indicando appunto in Noè il fondatore di Viterbo e della gens etrusca. Fu sempre Annio a creare l’epigrafe FAVL come sigla formata dalle iniziali dei quattro villaggi etruschi (Fano, Albano, Vetulonia, Longula) dai quali sarebbe poi nata per unione la nostra città, asserzione questa dimostrata infondata.

Ma Annio non si limitò a teorizzare e scrivere sull’origine di Viterbo. L’aspetto più interessante della sua attività è sciuramente quello di falsario. In sostanza, per supportare le sue tesi, produsse falso materiale archeologico. Oggi alcuni dei suoi “furbeschi” lavori sono custoditi nel, purtroppo ancora chiuso, Museo Civico di piazza Crispi.
Vediamo cosa partorì la fantasia del frate per supportare l’origine mitica e nobile dei viterbesi. Innanzitutto ‘La tavola di Pipino Larthe Re degli Etruschi’. Una lastra di pietra lavorata che  propone le immagini di un presunto re etrusco, dal nome medioevale Lartehe, e della moglie. E’ facile riscontrare le iconografie del dio Dionisio e delle Menadi tanto care alla scultura romana nei tratti dei volti di Pipino e della moglie. Poi abbiamo ‘Il Decreto di Re Desiderio’, consistente in una mezza rota marmorea incisa nella quale è riportata la decisione del re dei Longobardi, Desiderio, di cingere con mura l’antica tetrapoli capitale dell’Etruria e di darle nome Viterbo. Infine abbiamo il cosiddetto ‘Marmo Osiriano’. Frate Annio utilizzò questo “falso” per supportare la teoria che Viterbo derivasse nobili natali dal dio Osiride. In realtà il marmo è una composizione di più parti, appartenenti tra l’altro ad epoche diverse, unificate dall’iscrizione sottostante: il tralcio di vite risale al periodo romanico, le due teste di profilo sono del Quattrocento.

 

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